Può risultare stonato parlare di “amico” e di “amicizia”, che rinviamo a una radice comune con il termine “amare”, vale a dire “volere bene” letteralmente: desiderare “il bene” di qualcuno e per qualcuno, non necessariamente il proprio; impegnarsi, darsi da fare perché si verifichino le condizioni necessarie al suo conseguimento.
Termini tutti che, in qualche modo, implicano significati contigui, quali “essere prossimo”, “vicino”, “simile”, per certi versi anche “compatriota”. E ciò in un’epoca in cui sembrano invece farla da padrone e particolarismi, gli egoismi, le prevaricazioni, le piccole furbizie, gli arrangiamenti. Gradino di una escalation pericolosa, che porta alle violenze, ai conflitti, ai razzismi, al tuono dei cannoni e al devastante potere omicida delle granata…Senza addentrarsi qui in questioni esegetiche, basta ricordare che attraverso la risurrezione dell’”amico” Lazzaro (Lazzaro è l’unico di cui il Nuovo Testamento dice esplicitamente quell’appellativo riferito ai rapporti con il Nazaret), Gesù offre ai Giudei e al mondo intero il “segno” ultimo e più grande: rende visibile quella che sarà successivamente la sua risurrezione, per poter preparare i seguaci e il popolo, per far sì che tale mistero sia accessibile e comprensibile. Il filone si presenta molto coerente. Quasi allo stesso modo il Signore stringe l’alleanza con l’ “amico” Abramo, quando gli restituisce il figlio Isacco. Come, ancora, in maniera simile il Signore consente a Mosè di stargli di fronte (come possono stare due persone amiche), nel momento in cui gli affida la Legge…
La lunga escursione di Lazzaro tra ricostruzioni e associazioni, si articola in sette momenti, che, figurativamente, corrispondono ad altrettante tappe ideali di un’amicizia…
Schematicamente si può riassumere l’itinerario secondo le seguenti tappe:
1) L’attesa
“Signore, ecco, il tuo amico è malato”.
2) Il silenzio
“Si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava”.
3) Il patto tenero
“Il nostro amico Lazzaro si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”.
4 ) Il conflitto e il tradimento
“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”.
5) La testimonianza e la vocazione
“Lazzaro, vieni fuori!”.
6) La separazione
“Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico fra i giudei”.
7) La nostalgia
“Sei giorni prima della Pasqua andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva resuscitato dai morti”.
L’amicizia è un unicum, il risultato, la sintesi di tutti questi elementi presi unitariamente, nel loro complesso. Un’immagine globale. Ma, insieme, essa è la meta, cioè il traguardo, che un individuo riesce a raggiungere: il suo modo di mettersi in rapporto con l’altro. E però essa è anche l’itinerario soggettivo che una persona compie, passando attraverso quelle tappe, come fossero stazioni intermedie, di un cammino progressivo. Se non si hanno presenti queste tre facce, distinte, presa ciascuna per sé, ma intimamente correlate, riesce difficile farsi un’idea della realtà complessa di una relazione umana.
I capitoli del libro sono il modo per ripercorrere il processo di consapevolezza, che idealmente Lazzaro acquisisce, riandando agli snodi dell’esperienza da lui attraversata e per alcuni versi percorsa da altri protagonisti della storia di Israele. Lui, per tradizione muto, nel volume parla, nel senso che dà conto dei vissuti a mano a mano suscitati dalla progressiva presa di coscienza, di quanto è accaduto duemila anni fa in Palestina e a Betania in particolare.
Ecco l’attesa, come primo gradino: la predisposizione, quale atteggiamento gratuito, diverso quindi dall’aspettativa, cioè dall’intenzionalità di certi gesti e del “ritorno” messo in conto da una nostra iniziativa.
E poi il silenzio, termine paradossale nella civiltà dei rumori, eppure condizione necessaria perché qualcosa nasca e via obbligata per chi vuole ritrovarsi e quindi mettersi in relazione significativa con uomini e cose.
Segue il patto tenero, a sottolineare che o v’è un’intesa che lega i soggetti e in qualche modo obbliga, oppure non si danno condizioni per vivere un’intesa (l’aggettivo “tenero” sta a dire il sentimento che accompagna e umanizza, stemperando e insieme arricchendo la solennità dell’impegno reciproco).
Conflitto e tradimento rappresentano l’esperienza drammatica del lato oscuro (ogni sentimento positivo contiene in sé i germi del contrario: lealtà/infedeltà, armonia/dissonanza, e così via), l’elemento dialettico, attraverso cui passa l’uomo, per sé, rispetto ai suoi simili, e nei suoi rapporti con Dio.
Mentre testimonianza e vocazione costituiscono il momento della verità, la sintesi fra ciò che precede: il quinto gradino, o passaggio, in cui Gesù stesso nella vicenda di Betania chiama a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”; trae fuori l’amico dal sepolcro, dell’oscurità della morte, dalle tenebre.
Gli ultimi due punti, la separazione e la nostalgia, sono l’epilogo. Dopo la chiamata (anzi, in virtù di questa), ciascuno individua il proprio compito nel mondo, la sua vocazione, come si diceva, una volta con espressione di cui si ha paura in un’epoca come la nostra, dove si fa una gran fatica ad assumere impegni veri, seri, in ogni e qualunque direzione: familiare, affettiva, sociale. Insomma, uno impara ad andare per la propria strada, sulle proprie gambe. Certo, portandosi dentro lo struggimento per la persona che non ha più al suo fianco, ma senza ripiegarsi in maniera infeconda su se stesso e sul passato; con rimpianto, ma cercando di trarre energie e ragioni sufficienti per proseguire anche dalle ferite provocata dal distacco e dalla privazione.
Il cammino di Lazzaro, dunque, come percorso esemplare. Riproposizione emblematica di una storia di ieri e insieme indicazione prospettica, sapiente metafora per l’oggi. L’uomo che muore, che non sa o che non capisce appieno il progetto di cui è al centro, e Gesù che discende agli Inferi (come proclama il Credo nella versione del Simbolo Apostolico), da dove lo trae fuori, per ricondurlo alla luce.
Appunti tratti dal libro “Lazzaro: l’amicizia nella Bibbia” di Marco Garzonio (ediz. Paoline)
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