"io sono qui per continuare ad imparare"

Una frase, un ringraziamento, un pensiero, una poesia, una nota citazione, una preghiera, una testimonianza che trattano i temi fondamentali della vita (che chiamerò "riflessioni") possono, qualche volta, tracciare un solco positivo nel cuore e in alcuni casi diventare motivo di stimolo, speranza, conforto, sostegno. Se alle mie "riflessioni" aggiungerete le vostre, condivideremo anche con altri qualche prezioso suggerimento, come meditazione sulla realtà del vivere quotidiano.


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lunedì 31 gennaio 2022

Arte: Sacra Famiglia intenta a fare il bucato!

 
Lucio Massari, La sacra famiglia che stende il bucato, 1620, Uffizi, Firenzee

Molto insolita la scena raffigurata: la Sacra Famiglia intenta a fare il bucato! Maria inginocchiata presso una limpida pozza d’acqua, è intenta a fare il bucato; il bambino Gesù raccoglie i panni lavati in un mastello e li porge a Giuseppe che li stende ad asciugare sul ramo dell’albero più vicino. Tre persone, ognuno con un suo ruolo.  L’unico che guarda fuori della scena è Giuseppe: fissa lo spettatore invitandolo a prendere parte alla vicenda.  

Interessante anche notare i colori:  il rosso splendente della veste di Maria e il blu del suo manto; l’azzurro della tunica di Gesù; il viola dell’abito del padre alludono agli atteggiamenti dell’uomo redento: l’amore (rosso) e la fede (blu), l’azzurro del cielo e il viola della penitenza…tutte condizioni perché il bianco della salvezza divina risplenda nella vita dell’uomo. E intorno  l’armonia di un mondo in pace. 

La scena è tenera e commovente: un Dio che si fa bambino  per farsi aiutare dagli uomini a portare a termine la sua opera salvifica e che invita anche noi a fare la nostra parte per fare avanzare  la salvezza divina nel mondo.  

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Lucio Massari

Lucio Massari (1569 - 1633) fu un pittore italiano della scuola di Bologna, che coniugò il manierismo al primo periodo barocco. Era nato a Bologna, dove fu apprendista presso la bottega di un ignoto pittore, un certo Spinelli. In seguito fu allievo del pittore manierista Bartolomeo Passarotti e inoltre collaborò con Bartolomeo Cesi. Nel 1592 entrò a far parte dello studio Carracci e dell'Accademia degli Incamminati. Il suo rapporto di lavoro con Ludovico Carracci fu di lunga durata. Nel 1604 ha lavorato con Ludovico ad affrescare le Storie di San Mauro, San Benedetto e di altri santi nel chiostro di San Michele in Bosco. Nel 1607 collabora con Lionello Spada e Francesco Brizio a dipingere gli affreschi di Palazzo Bonfioli, a Bologna. Nel 1610 si reca a Roma, dove rimane sotto il patrocinio del Cardinale Facchinetti e diventa amico di Domenichino. Nel 1612 completa gli affreschi lasciati incompiuti da Bernardino Poccetti in una cappella della Certosa di Galluzzo, nei pressi di Firenze. In questo periodo dipinse la pala d'altare principale per la chiesa di Santa Maria in Guadi in San Giovanni in Persiceto. Torna a Bologna nel 1614 ma non si ferma e si trasferisce con Francesco Albani a lavorare a Mantova. Si tramanda tuttavia che in questa città più che a dipingere pensasse ai divertimenti, a cacciare, a pescare e a godersi le delizie della campagna. Tra i suoi allievi troviamo Sebastiano Brunetti, Antonio Randa e Fra Bonaventura Bisi.

domenica 30 gennaio 2022

Famiglia scuola di amore.

dipinto Lucio Massari

La famiglia è il primo luogo in cui scoprire che essere perfetti vuol dire essere fatti per qualcuno, è una scuola di amore, di speranza, di premura e di resurrezione.

"La famiglia è Il luogo che custodisce il mistero grande e semplice che è il segreto della felicità di ciascuno: fare posto alla vita di un altro". - Papa Francesco -

presso Basilica Santo Stefano-Sesto San Giovanni

giovedì 27 gennaio 2022

In polvere qui nel vento

 

Canzone del bambino nel vento (Auschwitz) 
- Francesco Guccini & I Nomadi
Son morto con altri cento,
Son morto chr ero bambino,
Passato per il camino
E adesso sono nel vento
E adesso sono nel vento
Ad Auschwitz c'era la neve,
Il fumo saliva lento
Nel freddo giorno d'inverno
E adesso sono nel vento,
E adesso sono nel vento
Ad Auschwitz tante persone,
Ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora
a sorridere qui nel vento,
A sorridere qui nel vento...
Io chiedo come può l'uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento,
In polvere qui nel vento
Ancora tuona il cannone
Ancora non è contenta
Di sangue la bestia umana
E ancora ci porta il vento
E ancora ci porta il vento
Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà
E il vento si poserà.

La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare-

 

“La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare, a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti. Bisogna sollevare quel manto di indifferenza che copre il dolore dei martiri (…). Per non dimenticare a quali aberrazioni può condurre l’odio razziale e l’intolleranza, non il rito del ricordo, ma la cultura della memoria. Per non dimenticare orrori e crimini, persecuzioni e campi di sterminio, nell’intento di contribuire a tramandare alle future generazioni un messaggio di amore e di pace“.

(Tratto dal libro "Il silenzio dei vivi “di Elisa Springer, deportata a soli 26 anni nel più grande campo di sterminio nazista, le offese, le umiliazioni subite, ridotta a una larva umana (arriverà a pesare 28 chili), e nonostante tutto questo orrore, continuare a trovare dentro di sé la forza per sopravvivere).

mercoledì 26 gennaio 2022

C’è un paio di scarpette Rosse











C’è un paio di scarpette Rosse di Joyce Lussu

C'è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
"Schulze Monaco".
C'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l' eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C'è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

JOYCE LUSSU, SCARPETTE ROSSE COMMENTO - Joyce Lussu cita poi un altro sistema di morte usato dai nazisti: l'utilizzo dei forni crematori, infatti dice che probabilmente non riusciremo ad immaginare di che colore erano gli occhi di quel bambino bruciati dal forno, ma che riusciremo ad immaginare il suo pianto; un pianto che nessuno riuscirebbe a sopportare, che nessuno vorrebbe sentire e che io spero di cuore che nessuno in futuro dovrà sentire mai. Questa poesia apparentemente dedicata ad un solo bambino è in realtà rivolta a tutti i bambini che furono gasati, lo conferma il fatto che quelle scarpette erano in cima ad un mucchio di altre scarpette.

Mai più la guerra: preghiera della pace















Papa Francesco, preoccupato dei venti di guerra che agitano il confine tra Russia e Ucraina e di conseguenza tutto il continente europeo, propone una giornata di raccoglimento e preghiera per oggi mercoledì 26 gennaio.

Preghiera per la pace di S. Giovanni Paolo II
Dio dei nostri Padri,
grande e misericordioso,
Signore della pace e della vita,
Padre di tutti.
Tu hai progetti di pace e non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l'orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù
ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani,
a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe
in una sola famiglia.
Ascolta il grido unanime dei Tuoi figli,
supplica accorata di tutta l'umanità:
mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza;
minaccia per le Tue creature
in cielo, in terra e in mare.
In comunione con Maria, la Madre di Gesù,
ancora Ti supplichiamo:
parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli,
ferma la logica della ritorsione e della vendetta,
suggerisci con il Tuo Spirito soluzioni nuove,
gesti generosi ed onorevoli,
spazi di dialogo e di paziente attesa
più fecondi delle affrettate scadenze della guerra.
Concedi al nostro tempo giorni di pace.
Mai più la guerra.
Amen.

martedì 25 gennaio 2022

Quando passerà la tempesta

 










Quando passerà la tempesta

E si amano le strade
e siamo sopravvissuti
di un relitto collettivo.
Con il cuore piangente
e il destino benedetto
Ci sentiremo felici
Solo per essere vivi.
E gli daremo un abbraccio
al primo sconosciuto
e loderemo la fortuna
di conservare un amico.
E poi ricorderemo
tutto quello che abbiamo perso
e una volta impareremo
tutto ciò che non abbiamo imparato.
Non saremo più invidiosi
Beh, tutti avranno sofferto.
Non avremo più ignavia
Saremo più compassionevoli.
Varrà di più ciò che è di tutti
Che ciò che non ho mai ottenuto
Saremo più generosi
E molto più impegnati
Capiremo il fragile
cosa significa essere vivi
Suderemo empatia
per chi c'è e chi se n'è andato.
Ci mancherà il vecchio
che chiedeva un peso sul mercato,
che non sapevamo il suo nome
ed è sempre stato al tuo fianco.
E forse il vecchio povero
Era Dio travestito.
Non hai mai chiesto il nome
perché avevi fretta.
E tutto sarà un miracolo
E tutto sarà un'eredità
E la vita sarà rispettata,
la vita che abbiamo guadagnato.
Quando passerà la tempesta
Ti chiedo Dio, triste,
Che tu ci renda migliori,
come ci avevi sognato.
(K.) O ' Meara - Poesia scritta durante l'epidemia di peste nel 1800.

Je suis comme la colombe










Quand mon courage succombe,  / J'en reprends dans ton coeur pur; / Je suis comme la colombe / Qui vient boire au lac d'azur 

V. Hugo

domenica 23 gennaio 2022

23 gennaio si celebra la Domenica della Parola






Ancora poco frequentata la Parola di Dio 

Il 23 gennaio si celebra la Domenica della Parola, che cade proprio nell’ambito della Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani. Ci si chiede quanto sia di fatto "masticata" questa Parola. "Limitandomi all’esperienza in Italia, posso dire che la Parola di Dio è ancora molto poco conosciuta, poco letta e poco studiata dai cristiani nella Chiesa cattolica", asserisce Don Mazzinghi che aggiunge: "C’è ancora molto cammino da fare". Il sacerdote evidenzia alcune luci: gruppi biblici, diocesi che pongono al centro del cammino pastorale la Parola di Dio, singoli cristiani che si accostano alla Bibbia ogni giorno, e ricorda che senz’altro la situazione è cambiata dai tempi precedenti al Concilio. "E tuttavia, se ci si guarda intorno, a cominciare dagli stessi preti, non c’è una vera centralità della Parola di Dio nella vita del popolo cristiano, complessivamente". Sulle ragioni di una tale scarsa affezione, don Luca osserva che c'è ancora un po’ di sospetto verso la Bibbia, l’idea che sia un libro antiquato, superato, per soli addetti ai lavori". Cita anche un centro devozionalismo, molto diffuso, che fa sì che la Bibbia venga messa da parte perché considerata, in fondo, "quasi superflua".

Le Sacre Scritture non sono un rifugio che ci allontana dalle 'opere'

"Per le Chiese cristiane il punto di partenza di qualunque nostro modo di essere e di pregare è la Bibbia", ribadisce Mazzinghi che cita la Dei Verbum. "L’importante è capire che qualunque nostro ‘fare’ o ‘essere’, la nostra stessa vita cristiana ha come fondamento la Parola di Dio. Altrimenti, che fare è? Papa Francesco più volte ha spiegato che la Chiesa non è una Ong che assiste il prossimo. La Chiesa è una comunità di fedeli che credono in Gesù Cristo e si basano sulla sua Parola. Se non c’è questo, costruiamo sulla sabbia. Non c’è nessuna opposizione tra la Parola e il ‘fare’. Sarebbe come dire che i monasteri di clausura andrebbero chiusi perché lì si prega e basta. Sarebbe un’assurdità che distrugge l’essenza stessa del nostro essere Chiesa". 

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-01/impegno-ecumenico-societa-biblica-italia.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

venerdì 21 gennaio 2022

Colera 1973: vogliamo il vaccino.

 

La notizia del colera iniziò a diffondersi la sera 28 agosto, il Ministero della sanità emise un comunicato stampa secondo cui dal 23 agosto nella zona di Ercolano-Torre del Greco si erano manifestati 14 casi di gastroenterite acuta, per i quali era sorto il sospetto che si trattasse di infezione da vibrione colerico, il cui focolaio era però circoscritto ai casi individuati.[9][10] Il giorno dopo il quotidiano Il Mattino aprì la prima pagina con la notizia di sette morti (cinque a Torre del Greco e due a Napoli) e più di 50 ricoverati all'ospedale Cotugno.

Proteste per la carenza di vaccini
In brevissimo tempo si scatenò il panico tra la popolazione, memore delle devastanti epidemie di colera del 1837, del 1884 e del 1910-1911: si registrarono infatti rivolte, blocchi stradali, rifiuti incendiati e assalti ai camion della disinfestazione. Paolo Cirino Pomicino, all'epoca assessore ai cimiteri di Napoli, fu accusato di nascondere centinaia di cadaveri per occultare l'emergenza.[11] Le autorità provvedettero ad iperclorinare (2 ppm) le acque dell'acquedotto municipale, proibendo la vendita dei frutti di mare e sequestrandoli nei ristoranti, avviando una campagna straordinaria di raccolta dei rifiuti, pulizia delle strade e disinfestazione dalle mosche, vennero interdette le spiagge e le aree di balneazione, ispezionati teatri, cinema e altri luoghi di aggregazione.[12]
Il 31 agosto, quando all'ospedale Cotugno di Napoli risultavono ricoverati già 220 pazienti sospettati di aver contratto la patologia, i cittadini partenopei assediarono il municipio di Napoli, data la carenza di vaccini e sulfamidici, mentre i limoni (il cui succo può attenuare gli effetti del vibrione) erano ormai disponibili solo al mercato nero a prezzi proibitivi.[8] A Ercolano i carabinieri furono costretti a disperdere la folla con il lancio di lacrimogeni.[9]

https://it.wikipedia.org/wiki/Epidemia_di_colera_in_Italia_del_1973

Coronavirus: abbraccio desiderato















Da 35 anni, ogni 21 gennaio si festeggia la Giornata mondiale degli abbracci: un giorno intero dedicato a uno dei gesti d’affetto più importanti, e che hanno i maggiori benefici. Con un abbraccio, infatti, non solo possiamo comunicare alle persone care il nostro affetto e il nostro supporto anche senza dire una sola parola, lasciando parlare i gesti, ma possiamo dare e ricevere numerosi benefici, sia a livello fisico che a livello mentale. Un gesto che forse un tempo ci appariva quasi scontato è diventato tra i più rari e desiderati dalla popolazione mondiale, in quanto a causa della pandemia di Coronavirus e del conseguente distanziamento sociale, abbracciarsi è divenuto quasi impossibile. Ora che non possiamo abbracciare le persone care per festeggiare questo giorno dell’anno dedicato a uno dei gesti d’affetto più significativi, sia tra partner, sia in famiglia che con gli amici, la Giornata Mondiale degli abbracci serve a ricordarci quanto questi ultimi siano importanti, nella speranza di poter tornare presto ad abbracciare le persone che amiamo.

mercoledì 19 gennaio 2022

La paura è un’emozione naturale

 

-“Dottoressa, mio figlio ha paura dei mostri! Non so più cosa fare…”

-“Vada in giro per casa a cercarli insieme a lui. Li cerchi ovunque, mi raccomando, anche nel frigorifero!”
-“Ah, dice?
Passano tre giorni, la mamma mi richiama:
-“Abbiamo giocato a cercare i mostri, da due notti dorme sereno…e racconta a tutti che i mostri in casa non ci sono!”
Le paure dei bambini sono improvvise e mutevoli e necessitano più che mai della nostra empatia. Invece di dire: “Non devi avere paura!” prova a dire: “Avere paura è normale. Io sono qui!” (questo è anche un capitolo del libro “Invece di dire…prova a dire”, oscar Mondadori).
Spesso quando i bambini ci dicono: “Ho paura!” noi rispondiamo: “Ma paura di cosaaa???” e questo non li aiuta di certo a superare quello stato emotivo.
Il più delle volte le loro paure per noi sono ingiustificate, e può accadere che finiscano anche per infastidirci, a volte temiamo la loro fragilità e la proiettiamo anche sul loro futuro. Così oscilliamo tra l’esortarli al coraggio a comando e il coccolarli all’eccesso col rischio di fargli credere che la loro paura abbia un fondamento concreto.
La paura è un’emozione naturale…e anche utile! Ci aiuta ad attivare meccanismi di attacco o fuga nei confronti di determinate situazioni che percepiamo come minacciose per i motivi più disparati, consentendo di metterci al sicuro.
In particolare la paura dei mostri e dei fantasmi inizia verso i 3 anni e va diminuendo intorno ai 7 anni. Queste figure fantastiche rappresentano quelle preoccupazioni e insicurezze che il bambino di questa età vive. Teniamo ben presente che proprio in questo periodo il bambino legge la realtà dal punto di vista magico e animistico, secondo cui ogni cosa è dotata di anima propria e di intenzionalità.
Ben si comprende allora come il momento della nanna e il contatto col buio possa attivare nel bambino queste paure.
Quindi razionalizzare, spiegare, ubriacare i bambini di parole non serve a niente. Occorre invece avvicinarsi al loro mondo e utilizzare la loro attività privilegiata: il gioco.
Bisogna andare a caccia di mostri tutti insieme, andare a cercarli nei posti più impensati, nel frigorifero, nel cassetto dei biscotti, dentro al wc, sotto al letto, nella serratura della porta, chiedere all’orsetto se per caso ha visto i mostri…giocare e finire inevitabilmente per ridere con loro!
Questo non li fa sentire soli ma gli fa vivere la bellezza e la potenza della condivisione delle emozioni. Oggi la vivono attraverso di noi, domani saranno loro a saperla donare ad altri.
Laura Mazzarelli
Il cammino pedagogico

San Sebastiano martire

 
I dati storici su di lui

Le notizie storiche su san Sebastiano sono davvero poche. Il più antico calendario della Chiesa di Roma, la «Depositio Martyrum», confluito nel «Cronografo» risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio, giorno della sua morte, e segna come luogo della sua sepoltura le catacombe lungo la via Appia. L’anno della morte, invece, è intorno al 304.
Sant’Ambrogio, vescovo di Milano nel IV secolo, nel suo «Commento al Salmo 118», afferma invece che Sebastiano era nato a Milano in un tempo di scarse persecuzioni contro i cristiani, ma si era poi trasferito a Roma, dove subì il martirio.
Le poche notizie storiche sono state poi ampliate dalla successiva “Passio”, scritta intorno al V secolo da un autore anonimo, probabilmente il monaco Arnobio il Giovane.

Il contesto in cui visse
Nel 260 l’imperatore Gallieno aveva abrogato gli editti persecutori contro i cristiani. Ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani, pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati: alcuni di loro occuparono importanti posizioni nell’amministrazione dell’impero. In questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente, anche nell’organizzazione.
Diocleziano, che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava portare avanti questa situazione pacifica. Tuttavia, diciott’anni dopo, su istigazione del suo cesare Galerio, scatenò una delle persecuzioni più crudeli in tutto l’impero.

Le origini
Alcuni manoscritti della “Passio”, datati dall’850 in poi, attestano che Sebastiano era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (nella Francia meridionale) e da madre milanese, ed era stato educato nella fede cristiana. Tutti concordano invece nel dichiarare che si trasferì a Roma e intraprese la carriera militare, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale, i pretoriani, a Roma.
Era stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano, che non sospettavano fosse cristiano. Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo, cubicolario (domestico) della famiglia imperiale, che poi morì martire.

Sebastiano incoraggia i giovani Marco e Marcellino
Un giorno furono arrestati due giovani cristiani, Marco e Marcelliano. Il loro padre, Tranquillino, ottenne un periodo di trenta giorni di riflessione prima del processo da Agrezio Cromazio, “praefectus Urbis” (magistrato con poteri civili o penali), affinché potessero salvarsi sacrificando agli dei.
I due fratelli stavano per cedere alla paura, quando intervenne il tribuno Sebastiano, riuscendo a convincerli a perseverare nella fede. Mentre lui parlava ai giovani, i presenti lo videro circondato di luce.
Tra di loro c’era anche Zoe, moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, d muta da sei anni. La donna si inginocchiò davanti a Sebastiano, il quale, dopo aver implorato la grazia divina, fece un segno di croce sulle sue labbra, restituendole l’uso della parola.
Davanti alla guarigione della moglie, lo stesso Nicostrato si prostrò ai piedi del tribuno, chiedendogli perdono per aver imprigionato Marco e Marcelliano, cui diede subito la libertà. I due fratelli, però, scelsero di non lasciare il carcere. Zoe e Nicostrato e altre persone chiesero il Battesimo, che fu loro amministrato dal sacerdote Policarpo.
Allo scadere dei trenta giorni, Cromazio chiese a Tranquillino se i due fratelli fossero pronti a sacrificare agli dei. L’uomo rispose che lui stesso era diventato cristiano e condusse a credere anche lo stesso Cromazio, che fu battezzato col figlio Tiburzio.

La denuncia e il martirio con le frecce
Tuttavia, Sebastiano fu denunciato come cristiano e condotto davanti a Diocleziano. L’imperatore, vedendo conferma della voce per cui nel palazzo imperiale erano presenti cristiani, persino tra i pretoriani, lo condannò a morte. Sebastiano fu denudato, poi legato a un palo e colpito da frecce. Fu quindi creduto morto e abbandonato in pasto agli animali selvatici.
Poco dopo, la nobile Irene, vedova del martire Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura: i cristiani infatti usavano fare così, a costo di essere arrestati a propria volta. La donna si accorse che il tribuno non era morto: lo fece trasportare in casa propria e lo curò.

Il secondo martirio
Sebastiano riuscì a guarire e si ripresentò all’imperatore, che stava salendo al tempio del Sole Invitto, rimproverandolo per quanto aveva operato contro i cristiani. L’imperatore ordinò che quella volta fosse flagellato a morte: il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non potessero recuperarlo.
La notte dopo, il martire apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandole il luogo dov’era approdato il suo cadavere e ordinandole di seppellirlo accanto alle tombe degli apostoli. Le catacombe della via Appia avevano ospitato temporaneamente, durante la persecuzione di Valeriano, le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo: erano quindi dette “Memoria apostolorum”.
Fino a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano visitavano anche la tomba del martire Sebastiano, la cui figura era per questo diventata molto popolare. Nel 680 si attribuì alla sua intercessione la fine di una grave pestilenza a Roma: da allora fu considerato il terzo patrono della città, dopo i due apostoli Pietro e Paolo, e cominciò a essere invocato contro le pestilenze.

Le reliquie
Le sue reliquie, sistemate in una cripta sotto la basilica costantiniana già detta “Basilica Apostolorum”, furono divise durante il pontificato di papa Eugenio II, il quale ne mandò una parte alla chiesa di San Medardo di Soissons il 13 ottobre 826.
Il suo successore Gregorio IV fece traslare il resto del corpo nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano. Il capo fu inserito in un prezioso reliquiario, che papa Leone IV trasferì poi nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, dov’è tuttora venerato.
Gli altri resti di san Sebastiano rimasero nella Basilica Vaticana fino al 1218, quando papa Onorio III concesse ai monaci cistercensi, custodi della Basilica di San Sebastiano, il ritorno delle reliquie risistemate nell’antica cripta. Nel XVII secolo l’urna venne posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove si trovano tuttora.

I patronati
San Sebastiano è considerato patrono degli arcieri e degli archibugieri, dei tappezzieri, dei fabbricanti di aghi e di quanti altri abbiano a che fare con oggetti a punta simili alle frecce. È pure invocato nelle epidemie, specie di peste, così diffusa in Europa in passato. Ancora durante la sua vita, il Papa san Caio lo denominò “difensore della Chiesa”.
È considerato patrono di molte città: ben tre comuni in Italia portano il suo nome. All’estero, invece, è molto venerato in Spagna, in Francia, in Germania e in Ungheria. Anche le Confraternite e Arciconfraternite della Misericordia sparse in tutt’Italia lo vedono come modello per la propria azione caritativa. L’Azione Cattolica Italiana lo considera uno degli esempi per i giovani soci, per la fierezza con cui testimoniò la propria fede.
Con la Lettera Apostolica «Praeclaros inter Christi» del 3 maggio 1957, papa Pio XII (Venerabile dal 2009) lo ha dichiarato patrono dei Vigili Urbani italiani, per la fedeltà con cui continuò a servire l’imperatore pur non considerandolo una divinità.

Nell’arte
Inizialmente san Sebastiano fu raffigurato come anziano o uomo maturo con barba e senza barba, vestito da soldato romano o con le lunghe vesti proprie di un uomo del Medioevo. Dal Rinascimento in poi diventò l’equivalente di quegli dei ed eroi greci celebrati per la loro bellezza.
L’origine di questo fatto risale a una leggenda dell’VIII secolo, secondo la quale il martire sarebbe apparso in sogno al vescovo di Laon, con le sembianze di un bellissimo giovane. Da allora, pittori e scultori cominciarono a raffigurarlo con quelle fattezze, legato a un albero o a una colonna e trafitto dalle frecce, tanto da far scordare che quello fu solo il primo tentativo di ucciderlo.
Innumerevoli sono le opere d’arte che lo raffigurano: il soggetto offriva infatti una possibilità di mettersi alla prova nella raffigurazione di corpi atletici, specialmente agli scultori. Anche Michelangelo Buonarroti, nell’affresco del “Giudizio Universale”, ne offrì un’interpretazione personale, quasi guerriera: lo immaginò nudo e possente come un Ercole, mentre stringe in pugno un fascio di frecce.
Nell’affresco di Benozzo Gozzoli nella chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano, il santo accoglie invece gli abitanti della città sotto il suo mantello, sorretto da alcuni angeli, proteggendoli dalle frecce scagliate dal cielo da Dio. In questo caso, l’iconografia è molto simile a quella della Madonna della Misericordia.
Infine è da ricordare che, insieme a san Giovanni Battista, è molto raffigurato nei gruppi di santi che circondano il trono della Madonna o che sono posti ai lati della Vergine.

Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini

lunedì 17 gennaio 2022

Sant' Antonio abate: poesia dialetto milanese

 

SANT ANTÒNI

(17 de genar)
di Carletto Oblò
Oh Antòni quanti nòmm
che t’hann daa ‘sti galantòmm
quèi che a tì, de tant in tant
vègnen per pregatt ‘me Sant:
chi te dis “Antòni abaa”,
chi “el Grand” t’ha nominaa,
chi te ciama ancamò
Sant Antòni del falò;
chi “d’Egitt”, chi “del desèrt”,
quanti nòmm, e tutt’incèrt;
“l’Eremita”, e per finì
“del porscèll” el disi mì.
In Egitt te see nassuu,
i tò gent poeu t’hee perduu
quand te seret gioinòtt,
t’hann lassaa on gròss bolgiòtt
i tò gent, inscì gh’hann dii,
tutt e tucc t’hee piantaa lì
per andà in del desèrt
tra serpent e tra lusèrt
in complètta povertà
in preghiera e castità.
Ona vita tormentada,
dal Demòni inzigada,
fin che on dì, in del desèrt
del Tebaide, quèst l’è cèrt,
a l’età de cent cinqu ann,
inscì par a oeugg e a spann,
t’hee pagaa el tò pedagg
per fà l’ultim tò viagg.
Chì a Milan, per tradizion,
con la musica e i canzon,
se festeggia ancamò
Sant Antoni del falò;
ècco che, gioin e anzian
che se tègnen per la man
corren, salten, fann di gioeugh
sempr’in torna a ‘sto gran foeugh
e ‘l ricòrd d’ona canzon
el me fa vegnì on magon:
“ Oh lilì, lilì, lilò,
ciappa i lègn per fà ‘l falò…”
Per finì ‘sta tiritera,
lì tra ‘l fumm de ‘sta foghera
ona supplica per mì:
“ Sant Antòni pensegh tì
famm tornà on quai ann indree,
tròpp forèst gh’èmm chì tra i pee!”

martedì 11 gennaio 2022

Terza dose vaccino fatta: tutto ok...

 

10 gennaio 2022

Terza dose vaccino fatta: tutto ok!
AstraZeneca+AstraZeneca+ Pfizer

I vaccini sono un gesto di amore verso noi, verso i propri figli e verso i più deboli. Chi li omette senza motivo è un pericoloso irresponsabile.
(Roberto Burioni)


giovedì 6 gennaio 2022

Il gatto della befana.

 

LA STORIA DEL GATTO DELLA BEFANA
Un tempo i gatti erano tutti tigrati, solo uno era di colore nero: era quello della Befana e la accompagnava nei suoi lunghi viaggi.
A cavallo della scopa vedeva luoghi meravigliosi, ma sempre dall’alto. Il micio ogni tanto si chiedeva come era la vita degli umani. Quando il periodo dell’Epifania si concludeva, lui infatti viveva una specie di letargo e dormiva con la strega tutto l’anno in attesa del 6 gennaio. Una notte il gatto, nel suo viaggio attorno al mondo assieme alla vecchina, si sporse per tentare di vedere più da vicino il mondo, il sacco era aperto e un regalo volò via. Dopo un po' la strega se ne accorse: “mai era successo un errore così in millenni di viaggi!”
Il gatto taceva, ma la vecchia era magica e disse: “vecchio micione sei stato tu, non mi arrabbio, la vita è stata noiosa e solitaria con me, ma a questo bambino bisogna pur dare qualcosa: andrai tu!” Così il gatto fu catapultato in un camino e quando arrivò nel grande salone cominciò a tossire per la gran cenere e la famiglia lo guardò stupita, ma il bambino urlava di gioia: “Che bello un amico tutto per me!” I genitori non ebbero il coraggio di separarli e da quel giorno i gatti non furono più solo tigrati, perché, a ricordo di quel dono, ci furono gatti neri. E per questo i gatti neri portano fortuna, perché sono un regalo della magica notte in cui i sogni si avverano.

mercoledì 5 gennaio 2022

L'euro 20 anni dopo:

 

foto -La sede della Banca Centrale Europea a Francoforte illuminata per i 20 anni dell'Euro

L'euro 20 anni dopo: una scommessa da portare a compimento

Il 1º gennaio 2002, 12 Paesi dell'Ue mettevano in atto il più importante cambio di valuta di tutti i tempi. Oggi sono 19 i membri Ue che hanno adottato l’euro ma sono circa 60 i Paesi nel mondo che all’euro legano la propria valuta. Senza la moneta unica saremmo tutti più poveri e più litigiosi

lunedì 3 gennaio 2022

La Madonna che viene dal mare

 

La Madonna che viene dal mare, storia dell’icona sull’altare del Papa

L’Osservatore Romano racconta la vicenda dell’antica immagine della Vergine esposta nella Basilica vaticana durante le celebrazioni del 31 dicembre e del primo gennaio

L’Osservatore Romano

Una “Profuga”, come tante altre. Sfuggita dalle violenze che devastarono Costantinopoli, nel 1453 è imbarcata su una nave di mercanti diretta a Napoli. Giunta nei pressi della costa salernitana, l’attende però una forte tempesta che causa il naufragio dell’imbarcazione. Di Lei, come della maggior parte dell’equipaggio e del carico, non si seppe più niente. Fino a quando, poco tempo dopo, un muratore in cerca di sabbia sulla riva del mare con la sua zappa colpì qualcosa di insolito: era l’icona della Madonna di Costantinopoli, meglio conosciuta a Salerno come la “Madonna che viene dal Mare”. Quella che è stata collocata il 31 dicembre e il 1° gennaio al lato dell’altare della Confessione della basilica di San Pietro, in ricordo della Madre di Dio.

Potrebbe essere l’epilogo di una delle tante storie quotidiane di cui le nostre cronache sono piene. Di quelle che hanno per teatro il Mare Nostrum, dove migliaia di profughi in cerca di rifugio e salvezza dalle guerre e dalla fame, rischiano il viaggio e talvolta trovano la morte, in quello che Papa Francesco ha definito un «freddo cimitero senza lapidi». L’“avventura” dell’icona, invece, ha avuto un epilogo felice, perché quel muratore inconsapevolmente ha trovato un “tesoro”, un “dono” di Maria alla città di Salerno. La “Profuga” è stata portatrice di benedizione e di grazie. Il muratore ha “salvato” Maria dai flutti e Lei ha contraccambiato con la sua protezione su tutti gli abitanti.

La tradizione narra che quell’uomo, dopo aver colpito con la zappa il sopracciglio dell’immagine della Vergine, rimase con le braccia paralizzate. Iniziò così a gridare per chiedere aiuto. Giunta della gente in suo soccorso, si scavò nella sabbia e si rinvenì l’icona, che venne riconosciuta dai marinai sopravvissuti i quali l’avevano portata via da Costantinopoli. La scena attirò l’attenzione dei religiosi agostiniani, la cui comunità si trovava presso la spiaggia vicino alle mura. Mentre la gente gridava al miracolo, vollero portare l’immagine nella loro chiesa, organizzando una processione. Perfino le campane, senza che nessuno le toccasse, suonarono a festa. L’immagine venne collocata così nella cappella dello Spirito Santo della famiglia Mazza, dove il giorno dopo però sparì. Fu rinvenuta nella stalla in cui la famiglia teneva i cavalli, che vennero trovati inginocchiati davanti all’icona. Fu riportata di nuovo nella chiesa, ma ancora una volta riapparve nella stalla: come se la “Profuga” Maria volesse condividere in tutto la sorte di tanti disperati che non trovano alloggio in sontuosi edifici, ma in rifugi di fortuna. Gli agostiniani, allora, trasformarono quel luogo in una cappella, dove Maria rimase esposta alla venerazione dei fedeli. Con la successiva costruzione della chiesa di Sant’Agostino, l’icona venne collocata al suo interno, prima in una cappella laterale, poi sull’altare maggiore.

L'immagine della “Madonna che viene dal Mare”, raffigura Maria assisa in trono. È vestita con un elegante abito azzurro bordato di rosso, dalle rifiniture dorate. Con la mano destra indica il Bambino, che sorregge con l’altro braccio, e lo offre in adorazione ai fedeli. Gesù indossa una veste rossa e benedice il popolo con la mano destra sollevata. In alto, ai lati dell’immagine, due angeli venerano e assistono Maria.

La realizzazione dell’icona è stata collocata intorno alla metà del XIV secolo. L’immagine sacra rappresenta Maria come “Madre di Dio” e come “Colei che conduce, che indica la via”. Essa “parla” ai fedeli e mostra che il gesto di intercessione della Vergine provoca la risposta del Figlio, il quale leva in alto la mano per benedire. Maria mostra al mondo il Bambino, invitando a seguirlo, mentre Gesù guarda sua Madre, la sua prima discepola.

Il ritrovamento dell’icona, come riportato dalla tradizione, viene ogni anno solennemente celebrato e ricordato ogni prima domenica di agosto, con una processione sul mare. L’immagine di Maria è trasportata su un peschereccio per rievocare il suo approdo sulle spiagge di Salerno.

 Grande devozione si è sviluppata, nel corso dei secoli, verso la “Madonna che viene dal mare”.  Il Capitolo vaticano, il 15 dicembre 1901, decretò la sua incoronazione, che avvenne il 6 agosto 1922. Nel 1972 la chiesa parrocchiale di Sant’Agostino è stata elevata con decreto arcivescovile alla dignità di Santuario mariano, il primo della città di Salerno.

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