Le notizie storiche su san Sebastiano sono davvero poche. Il più antico calendario della Chiesa di Roma, la «Depositio Martyrum», confluito nel «Cronografo» risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio, giorno della sua morte, e segna come luogo della sua sepoltura le catacombe lungo la via Appia. L’anno della morte, invece, è intorno al 304.
Sant’Ambrogio, vescovo di Milano nel IV secolo, nel suo «Commento al Salmo 118», afferma invece che Sebastiano era nato a Milano in un tempo di scarse persecuzioni contro i cristiani, ma si era poi trasferito a Roma, dove subì il martirio.
Le poche notizie storiche sono state poi ampliate dalla successiva “Passio”, scritta intorno al V secolo da un autore anonimo, probabilmente il monaco Arnobio il Giovane.
Il contesto in cui visse
Nel 260 l’imperatore Gallieno aveva abrogato gli editti persecutori contro i cristiani. Ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani, pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati: alcuni di loro occuparono importanti posizioni nell’amministrazione dell’impero. In questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente, anche nell’organizzazione.
Diocleziano, che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava portare avanti questa situazione pacifica. Tuttavia, diciott’anni dopo, su istigazione del suo cesare Galerio, scatenò una delle persecuzioni più crudeli in tutto l’impero.
Le origini
Alcuni manoscritti della “Passio”, datati dall’850 in poi, attestano che Sebastiano era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (nella Francia meridionale) e da madre milanese, ed era stato educato nella fede cristiana. Tutti concordano invece nel dichiarare che si trasferì a Roma e intraprese la carriera militare, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale, i pretoriani, a Roma.
Era stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano, che non sospettavano fosse cristiano. Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo, cubicolario (domestico) della famiglia imperiale, che poi morì martire.
Sebastiano incoraggia i giovani Marco e Marcellino
Un giorno furono arrestati due giovani cristiani, Marco e Marcelliano. Il loro padre, Tranquillino, ottenne un periodo di trenta giorni di riflessione prima del processo da Agrezio Cromazio, “praefectus Urbis” (magistrato con poteri civili o penali), affinché potessero salvarsi sacrificando agli dei.
I due fratelli stavano per cedere alla paura, quando intervenne il tribuno Sebastiano, riuscendo a convincerli a perseverare nella fede. Mentre lui parlava ai giovani, i presenti lo videro circondato di luce.
Tra di loro c’era anche Zoe, moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, d muta da sei anni. La donna si inginocchiò davanti a Sebastiano, il quale, dopo aver implorato la grazia divina, fece un segno di croce sulle sue labbra, restituendole l’uso della parola.
Davanti alla guarigione della moglie, lo stesso Nicostrato si prostrò ai piedi del tribuno, chiedendogli perdono per aver imprigionato Marco e Marcelliano, cui diede subito la libertà. I due fratelli, però, scelsero di non lasciare il carcere. Zoe e Nicostrato e altre persone chiesero il Battesimo, che fu loro amministrato dal sacerdote Policarpo.
Allo scadere dei trenta giorni, Cromazio chiese a Tranquillino se i due fratelli fossero pronti a sacrificare agli dei. L’uomo rispose che lui stesso era diventato cristiano e condusse a credere anche lo stesso Cromazio, che fu battezzato col figlio Tiburzio.
La denuncia e il martirio con le frecce
Tuttavia, Sebastiano fu denunciato come cristiano e condotto davanti a Diocleziano. L’imperatore, vedendo conferma della voce per cui nel palazzo imperiale erano presenti cristiani, persino tra i pretoriani, lo condannò a morte. Sebastiano fu denudato, poi legato a un palo e colpito da frecce. Fu quindi creduto morto e abbandonato in pasto agli animali selvatici.
Poco dopo, la nobile Irene, vedova del martire Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura: i cristiani infatti usavano fare così, a costo di essere arrestati a propria volta. La donna si accorse che il tribuno non era morto: lo fece trasportare in casa propria e lo curò.
Il secondo martirio
Sebastiano riuscì a guarire e si ripresentò all’imperatore, che stava salendo al tempio del Sole Invitto, rimproverandolo per quanto aveva operato contro i cristiani. L’imperatore ordinò che quella volta fosse flagellato a morte: il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non potessero recuperarlo.
La notte dopo, il martire apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandole il luogo dov’era approdato il suo cadavere e ordinandole di seppellirlo accanto alle tombe degli apostoli. Le catacombe della via Appia avevano ospitato temporaneamente, durante la persecuzione di Valeriano, le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo: erano quindi dette “Memoria apostolorum”.
Fino a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano visitavano anche la tomba del martire Sebastiano, la cui figura era per questo diventata molto popolare. Nel 680 si attribuì alla sua intercessione la fine di una grave pestilenza a Roma: da allora fu considerato il terzo patrono della città, dopo i due apostoli Pietro e Paolo, e cominciò a essere invocato contro le pestilenze.
Le reliquie
Le sue reliquie, sistemate in una cripta sotto la basilica costantiniana già detta “Basilica Apostolorum”, furono divise durante il pontificato di papa Eugenio II, il quale ne mandò una parte alla chiesa di San Medardo di Soissons il 13 ottobre 826.
Il suo successore Gregorio IV fece traslare il resto del corpo nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano. Il capo fu inserito in un prezioso reliquiario, che papa Leone IV trasferì poi nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, dov’è tuttora venerato.
Gli altri resti di san Sebastiano rimasero nella Basilica Vaticana fino al 1218, quando papa Onorio III concesse ai monaci cistercensi, custodi della Basilica di San Sebastiano, il ritorno delle reliquie risistemate nell’antica cripta. Nel XVII secolo l’urna venne posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove si trovano tuttora.
I patronati
San Sebastiano è considerato patrono degli arcieri e degli archibugieri, dei tappezzieri, dei fabbricanti di aghi e di quanti altri abbiano a che fare con oggetti a punta simili alle frecce. È pure invocato nelle epidemie, specie di peste, così diffusa in Europa in passato. Ancora durante la sua vita, il Papa san Caio lo denominò “difensore della Chiesa”.
È considerato patrono di molte città: ben tre comuni in Italia portano il suo nome. All’estero, invece, è molto venerato in Spagna, in Francia, in Germania e in Ungheria. Anche le Confraternite e Arciconfraternite della Misericordia sparse in tutt’Italia lo vedono come modello per la propria azione caritativa. L’Azione Cattolica Italiana lo considera uno degli esempi per i giovani soci, per la fierezza con cui testimoniò la propria fede.
Con la Lettera Apostolica «Praeclaros inter Christi» del 3 maggio 1957, papa Pio XII (Venerabile dal 2009) lo ha dichiarato patrono dei Vigili Urbani italiani, per la fedeltà con cui continuò a servire l’imperatore pur non considerandolo una divinità.
Nell’arte
Inizialmente san Sebastiano fu raffigurato come anziano o uomo maturo con barba e senza barba, vestito da soldato romano o con le lunghe vesti proprie di un uomo del Medioevo. Dal Rinascimento in poi diventò l’equivalente di quegli dei ed eroi greci celebrati per la loro bellezza.
L’origine di questo fatto risale a una leggenda dell’VIII secolo, secondo la quale il martire sarebbe apparso in sogno al vescovo di Laon, con le sembianze di un bellissimo giovane. Da allora, pittori e scultori cominciarono a raffigurarlo con quelle fattezze, legato a un albero o a una colonna e trafitto dalle frecce, tanto da far scordare che quello fu solo il primo tentativo di ucciderlo.
Innumerevoli sono le opere d’arte che lo raffigurano: il soggetto offriva infatti una possibilità di mettersi alla prova nella raffigurazione di corpi atletici, specialmente agli scultori. Anche Michelangelo Buonarroti, nell’affresco del “Giudizio Universale”, ne offrì un’interpretazione personale, quasi guerriera: lo immaginò nudo e possente come un Ercole, mentre stringe in pugno un fascio di frecce.
Nell’affresco di Benozzo Gozzoli nella chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano, il santo accoglie invece gli abitanti della città sotto il suo mantello, sorretto da alcuni angeli, proteggendoli dalle frecce scagliate dal cielo da Dio. In questo caso, l’iconografia è molto simile a quella della Madonna della Misericordia.
Infine è da ricordare che, insieme a san Giovanni Battista, è molto raffigurato nei gruppi di santi che circondano il trono della Madonna o che sono posti ai lati della Vergine.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini
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