Gesù, sulla strada verso Gerusalemme, incarna un uomo che non si metta in fuga, ma che si immerge nella comunità degli uomini, pienamente partecipe della loro storia e della loro cultura.
Attorno a lui tutta la realtà viene convocata e risponde come a un appuntamento fondamentale.
Il mondo animale è rappresentato da un asina e un puledro che porta in groppa Gesù.
Il mondo vegetale dalle fronde degli alberi (è un particolare presente negli altri vangeli sinottici) che dopo essere state tagliate nei campi, vengono gettate sulla strada al suo passaggio.
Il mondo del lavoro e la dimensione della cultura vengono evocati dai mantelli che con le fronde creano sulla strada un tappeto di onore.
La terra è collegata col cielo attraverso il canto intonato dalla folla: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore. / Osanna nel più alto dei cieli!.»
In questa sacra rappresentazione che ci ha dato Matteo è Gesù il centro vivente verso cui tutto converge.
C'è da chiedersi perché mai Gesù sia in possesso di tale forza di attrazione e di coesione.
Come si spiega il suo forte magnetismo che faceva accorrere la gente come se in città stesse per entrare un comandante reduce da una spedizione vittoriosa?
Apparentemente non c'è spiegazione.
Gesù manca di quei requisiti che sono segni di potere e di autorità.
Non ha né il piglio del tribuno né lo sguardo del dominatore.
E non dispone di una guardia del corpo.
Anche come inviato da Dio, non ha nulla che possa evocare l'immagine tradizionale di Dio.
Gesù entra in città disarmato, inerme, fragile della stessa fragilità che aveva rivelato nascendo a Betlemme.
Tra Betlemme e Gerusalemme corre una linea di fedeltà e di coerenza.
Paradossalmente proprio la mitezza, la fragilità, la povertà di Gesù esercitano un fascino straordinario in grado di accendere nei cuori semplici un fervore di gioiosa adesione perché propongono un altro volto di Dio.
In tempi come i nostri in cui a dominare sono le categorie del guadagno e dell'utile, del dare e dell'avere, del potere e del dominio, della forza e della sopraffazione, non dovrebbe essere difficile lasciarsi conquistare dal fascino della gratuità e dell'amore.
Gesù non ci conduce su percorsi lontano dalle asprezze della vita, ma ci conduce dentro la città, là dove pulsa la vita degli uomini, per redimere la nostra società con una logica diversa da quella dominante.
Come discepoli di Cristo dovremmo entrare in questo campo magnetico della grazia e godere nell'esprimere anche noi, attraverso gesti di mitezza e di donazione, la bellezza della bontà.
«Quale bellezza salverà il mondo?», si è chiesto un giorno Dostoevskij.
La risposta la possiamo trovare contemplando la scena del vangelo.
E’ la bellezza di una presenza umile, silenziosa e premurosa che sembra sprecata e inutile in un mondo cinico e violento, ma che è capace di irradiare fiducia e speranza perché in questi gesti nascosti già palpita la luce della risurrezione.
(Pozzoli)Dopo solo sei giorni Gesù, abbandonato da tutti, fuorché da Maria e da pochi intimi,
non entrava, ma usciva da Gerusalemme;
non su cavalcatura ma a piedi,
non portato, ma portando la croce;
non applaudito, ma coperto d'insulti.
Così va il mondo: oggi grida: Viva! Osanna! e domani: A morte!
Andiamo incontro al Natale di Cristo riscoprendo i valori della festa, della gratuità, della speranza, dell'amicizía, della libertà, dell'amore.
VANGELO SEC. MATTEO 21,1-9
In quel tempo. Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, il Signore Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”».
Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
Dite alla figlia di Sion: / Ecco, a te viene il tuo re, / mite, seduto su un’asina / e su un puledro, figlio di una bestia da soma.
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! / Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Osanna nel più alto dei cieli!».
(Bibbia CEI 2008)
eppure anche allora c'era chi gridava il suo nome, ma la voce dell'amore appare all'orecchio dell'uomo, flebile...
RispondiEliminaProprio come allora, la voce dell'amore non sempre viene ascoltata, sentita ma più volte ignorata anche da noi stessi. Ciao sorellina preziosa, grazie.
Che cosa ci porta ancora Gesù?
RispondiEliminaUna nota di ironia, di finissima ironia, come un riflesso del riso di Dio.
Gli uomini, per esempio, amano le esibizioni del potere
Gesù invece, che pure viene salutato re, si presenta sul dorso di un modesto, risibile asinello. Come volesse dirci:
«Prendetevi gioco anche voi di tutte le sceneggiate del potere.
Conservate sempre dentro di voi uno spirito libero, che sia come un segno della vostra superiorità su tutto ciò che pretende di umiliarvi».
Anche tu sei molto preziosa sorellina in Cristo
Oh cara... si, la forza dell'amore; che cosa ha più potere di questo?
RispondiEliminagli chiedo di aiutarmi ad essere umile, solo Lui può.
Ciao sorellina, quante riflessioni ci porta questo Vangelo!:
RispondiEliminaPensiamo alla "leggenda" di Quo vadis.
A Roma si profila la persecuzione di Nerone.
Pietro, pressato dai fratelli si allontana dalla città.
Mentre fugge verso sud, lungo la via Appia, incontra Gesù che va in direzione opposta.
Gli chiede. Quo vadis Domine? (Dove vai Signore?).
E Gesù risponde ”vado a Roma a morire di nuovo.
Pietro capisce, torna sui suoi passi e subisce il martirio per Cristo, morendo crocifisso.
La storia di Quo Vadis si ripete ancora oggi.
Gesù va a morire di nuovo in ogni luogo dove è in atto la persecuzione, il pericolo, la morte
E quanti discepoli coraggiosi, non fuggono ma vi restano o vi ritornano per soffrire con Cristo.
La storia di Quo Vadis ha un senso anche per noi che non ci troviamo in queste situazioni drammatiche.
Gesù iniziò il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme, che si sarebbe concluso con la morte.
Uno degli apostoli disse agli altri che erano titubanti ”andiamo anche noi a morire con lui” Gv 11,16
È con questo sentimento nel cuore che ogni vero credente dovrebbe essere in cammmino nell’Avvento.