Santa Giuseppina Bakhita Vergine
Oglassa, Darfur,
Sudan, 1868 - Schio, Vicenza, 8 febbraio 1947
Nasce nel Sudan nel
1869, rapita all'età di sette anni, venduta più volte, conosce sofferenze
fisiche e morali, che la lasciano senza un'identità. Sono i suoi rapitori a
darle il nome di Bakhita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata a Kartum dal
console Italiano Calisto Legnani. Nel 1885 segue quest'ultimo in Italia dove, a
Genova, viene affidata alla famiglia di Augusto Michieli e diventa la bambinaia
della figlia. Quando la famiglia Michieli si sposta sul Mar Rosso, Bakhita
resta con la loro bambina presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha la
possibilità di conoscere la fede cristiana e, il 9 gennaio 1890, chiede il
battesimo prendendo il nome di Giuseppina. Nel 1893, dopo un intenso cammino,
decide di farsi suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove
del suo amore. Divenuta suora, nel 1896 è trasferita a Schio (Vicenza) dove
muore l'8 febbraio del 1947. Per cinquant'anni ha ricoperto compiti umili e
semplici offerti con generosità e semplicità.
Esiste un manoscritto, redatto in italiano e custodito nell’archivio storico della Curia generalizia delle suore Canossiane di Roma, che raccoglie l’autobiografia di santa Bakhita, canonizzata in piazza San Pietro il 1° 2000 fra danze e ritmati canti africani. In questo manoscritto sono racchiuse le brutture a cui fu sottoposta Bakhita nei suoi tragici anni di schiavitù, la sua riacquistata libertà e infine la conversione al cattolicesimo.
“La mia famiglia
abitava proprio nel centro dell’Africa, in un subborgo del Darfur, detto
Olgrossa, vicino al monte Agilerei... Vivevo pienamente felice…
Avevo nove anni
circa, quando un mattino…andai… a passeggio nei nostri campi… Ad un tratto
[sbucano] da una siepe due brutti stranieri armati… Uno… estrae un grosso
coltello dalla cintura, me lo punta sul fianco e con una voce imperiosa, “Se
gridi, sei morta, avanti seguici!””.
Venduta a mercanti
di schiavi, iniziò per Bakhita un’esistenza di privazioni, di frustate e di
passaggi di padrone in padrone. Poi venne tatuata con rito crudele e tribale:
114 tagli di coltello lungo il corpo: “Mi pareva di morire ad ogni momento…
Immersa in un lago di sangue, fui portata sul giaciglio, ove per più ore non
seppi nulla di me… Per più di un mese [distesa] sulla stuoia… senza una pezzuola
con cui asciugare l’acqua che continuamente usciva dalle piaghe semiaperte per
il sale”.
Giunse finalmente la
quinta ed ultima compra-vendita della giovane schiava sudanese. La acquistò un
agente consolare italiano, Callisto Legnami.
Dieci anni di orrori e umiliazioni si chiudevano. E, per la prima volta,
Bakhita indossa un vestito.
“Fui davvero
fortunata; perché il nuovo padrone era assai buono e prese a volermi bene
tanto”. Trascorrono più di due anni. L’incalzante rivoluzione mahdista fa
decidere il funzionario italiano di lasciare Khartoum e tornare in patria.
Allora “osai pregarlo di condurmi in Italia con sé”. Bakhita raggiunge la
sconosciuta Italia, dove il console la regalerà ad una coppia di amici di
Mirano Veneto e per tre anni diventerà la bambinaia di loro figlia, Alice.
Ed ecco l’incontro
con Cristo. La mamma di Alice, Maria Turina Michieli, decide di mandare figlia
e bambinaia in collegio dovendo raggiungere l’Africa per un certo periodo di
tempo. La giovane viene ospitata nel Catecumenato diretto dalle Suore
Canossiane di Venezia (1888). “Circa nove mesi dopo, la signora Turina venne a
reclamare i suoi diritti su di me. Io mi rifiutai di seguirla in Africa… Ella
montò sulle furie”. Nella questione intervennero il patriarca di Venezia Domenico
Agostini e il procuratore del re, il quale
“mandò a dire che, essendo io in Italia, dove non si fa mercato di
schiavi, restavo… libera”.
Il 9 gennaio 1890
riceve dal Patriarca di Venezia il battesimo, la cresima e la comunione e le
viene imposto il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata, che in arabo si
traduce Bakhita.
Nel 1893 entra nel
noviziato delle Canossiane. “Pronunciate i santi voti senza timori. Gesù vi
vuole, Gesù vi ama. Voi amatelo e servitelo sempre così”, le dirà il cardinal
Giuseppe Sarto, nuovo Patriarca e futuro Pio X. Nel 1896 pronuncia i voti e si
avvia ad un cammino di santità. Cuoca, sacrestana e portinaia saranno le sue
umili mansioni, descritte e testimoniate dal recente e ben riuscito video
prodotto dalla Nova-T, dal titolo “Le due valigie, S. Giuseppina Bakhita”, con
la regia di Paolo Damosso, la fotografia di Antonio Moirabito e la recitazione
di Franco Giacobini e Angela Goodwin. Il
titolo si rifà alle parole che Bakhita disse prima di morire: “Me ne vado,
adagio adagio, verso l’eternità… Me ne vado con due valigie: una, contiene i
miei peccati, l’altra, ben più pesante, i meriti infiniti di Gesù Cristo”.
Donna di preghiera e
di misericordia, conquistò la gente di Schio, dove rimase per ben 45 anni. La
suora di “cioccolato”, che i bambini
provavano a mangiare, catturava per la sua bontà, la sua gioia, la sua fede.
Già in vita la chiamano santa e alla sua morte (8 febbraio 1947), sopraggiunta a causa di una polmonite, Schio
si vestì a lutto.
Aveva detto: “Se
incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno
torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse
accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa…”.
La Chiesa la ricorda
l'8 febbraio mentre nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 9
febbraio.
Autore: Cristina Siccardi
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