Ucraina, il nunzio: dal deserto della guerra, il fiore della fraternità.
lunedì 28 febbraio 2022
domenica 27 febbraio 2022
Preghiera: mai più la guerra di G. Paolo II
venerdì 25 febbraio 2022
lunedì 21 febbraio 2022
Ansietà e gioia Siracide 30, 21-25
Leggevo tutti i giorni con e per Giuliana questi versetti del Siracide 30, 21-25 stampati ed appesi al muro della cucina:
domenica 20 febbraio 2022
Grazie all’eroico personale sanitario
venerdì 18 febbraio 2022
Arte: Il dito di Dio e di Adamo
“Quando, nel 1512, Michelangelo completò finalmente l’affresco sul soffitto della Cappella Sistina, considerata una delle opere più famose della storia dell’arte, i cardinali responsabili della cura delle opere rimasero per ore a guardare e ammirare il magnifico affresco. Dopo l’analisi si riunirono con il maestro, Michelangelo, e senza vergogna spararono: ‘Rifallo!’ Lo scontento, ovviamente, non era rivolto a tutto il lavoro, ma a un dettaglio apparentemente senza importanza. Michelangelo aveva disegnato il pannello della creazione dell’uomo con le dita di Dio e di Adamo che si toccavano. I cardinali chiesero che non si toccassero, ma che le dita di entrambi fossero separati, e anzi, che il dito di Dio fosse sempre teso al massimo, ma che quello di Adamo si contraesse nell’ultima falange. Un dettaglio semplice, ma con un significato sorprendente: Dio è lì, ma la decisione di cercarlo dipende dall’uomo. Se vuole stenderà il dito, lo toccherà, ma se non vuole può passare tutta la vita senza cercarlo. L’ultima falange del dito contratto di Adamo rappresenta così il libero arbitrio”.
giovedì 17 febbraio 2022
Il mondo ha bisogno di bellezza.
martedì 15 febbraio 2022
Santa Giuliana di Nicomedia la donna che incatenò il demonio.
Santa Giuliana di
Nicomedia. Santa Giuliana è molto venerata in Campania e nei Paesi Bassi. La
chiesa cattolica la festeggia il 16 febbraio. Giuliana è protettrice degli
ammalati e delle partorienti. Il nome Giuliana deriva dal latino e significa
letteralmente appartenente alla gens Julia, una nobile famiglia romana. Nelle
rappresentazioni sacre Santa Giulia è sempre raffigurata con il simbolo della
palma. Il suo martirologio romano recita: «A Nicomedia santa Giuliana, Vergine
e Martire, la quale, sotto l’Imperatore Massimiano, prima gravemente battuta da
Africano suo padre, quindi in vari modi tormentata dal Prefetto Evilasio, col
quale aveva ricusato di maritarsi, e poi gettata in carcere, combatté
apertamente col demonio e finalmente, avendo superato le fiamme ed una caldaia
bollente, compì il martirio con la decapitazione. Il suo corpo fu poi
trasportato a Cuma, in Campania».
La vita di Santa Giuliana
di Nicomedia
Santa Giuliana
nacque intorno al 285 a Nicomedia. Appartenente a una famiglia pagana si
convertì al cristianesimo. Promessa in sposa al prefetto della città Giuliana
pose come condizione al matrimonio la conversione al Cristianesimo da parte del
futuro marito. Di fronte a questa pretesa il fidanzato stesso denunciò
Giuliana, che venne poi condotta davanti al tribunale perché cristiana
praticante. Nonostante la prigionia non rinnegò la propria fede e venne
condannata a morte. Venne quindi decapitata nell’anno 305. La persecuzione di
Diocleziano partì proprio da Nicomedia, ed Eusebio narra che furono individuati
e perseguitati cristiani anche negli uffici e nei palazzi imperiali. I martiri
di quella città furono svariati e tra questi Doroteo che era un notabile
dell’impero, ed Antimo che era vescovo della città. Santa Giuliana perciò subì
il martirio insieme con il vescovo Antimo, con santa Barbara e con altri santi.
Le sue spoglie, custodite da una matrona romana, furono venerate nella cattedrale
di Cuma, oggi distrutta, che le accolse dopo il naufragio della nave che le
conduceva verso Roma.
Il Culto di Santa
Giuliana di Nicomedia
Santa Giuliana venne
subito venerata tra i santi e le sante più note del paleo-cristianesimo in
Campania. La sua immagine fu dipinta nel V secolo in un’edicola a lei
intitolata nelle catacombe di San Gennaro a Napoli. Nella Napoli bizantina la
Santa fu vista come una figura giovanile, bella e brillante e rappresentò
l’esemplare modello di vergine cristiana. Ella suscitò una grande devozione
popolare che fu sostenuta dalla monache del monastero di Donnaromita, le quali
vivevano secondo i dettami della Regola di San Basilio. Queste monache
seguirono poi la Regola di san Benedetto e, custodendo il corpo della santa
dopo la distruzione di Cuma, estesero ancora più la devozione in tutti i luoghi
della cristianità europea. Testimonianze del culto della santa si ritrovano
così a Vallepietra, in Inghilterra e in Spagna, e sue reliquie si trovano a
Perugia e a Verona. Dal 1207 la città di Frattamaggiore celebra la Santa come
sua patrona principale insieme con San Sossio.
scritto da Marilena De Angelis
https://www.lalucedimaria.it/santa-giuliana-nicodemia-incatena-demonio/?fbclid=IwAR1KsehC7mpz8TIMbjMyY5aogKvu4pszvSkGNSxFWyojVUIzUhbiTaHbvxI
sabato 12 febbraio 2022
Grotta di Lourdes in Sacra Famiglia
12 anni unita con il mondo, grazie blogghisti
12 febbraio 2010 - 12 febbraio 2022
Grazie care/i amiche/ci blogghisti
per la visibilità dei 12000 post mensili.
Dedicato a Voi...
che in questo altro anno di "virus"
siete state/i accanto
nel mio e vostro blog.
quello che guardano i miei".
-Luis Cernuda-
giovedì 10 febbraio 2022
XXX Giornata Mondiale del Malato, Preghiera.
Il tema scelto per questa trentesima Giornata Mondiale del Malato. «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36),
https://salute.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/26/2022/01/10/MessaggioPapa.pdf?fbclid=IwAR3CUAKGG-USIxX-hb1A33nVB4whyz7lSrUAfjpMP8SQYltGC-hBCem3yfY
martedì 8 febbraio 2022
Mimosa bellezza delicata, effimera.
Sapevate che 9 mimose su 10 in Italia sono prodotte in Liguria? Ecco dove il paesaggio a fine inverno si tinge di giallo
Giallo che più
giallo non si può. Avete mai visto un albero di mimosa in fiore? È come se
mille canarini ci si posassero improvvisamente sopra. E una valle con le mimose
in fiore? Una marea, una valanga di
giallo, una flotta di canarini.
È proprio quello che
accade in Liguria, in provincia di Imperia, tra Vallebona e Perinaldo, nel
periodo compreso tra febbraio e marzo.
Arriva da lontano,
ma la mimosa ha trovato in Liguria il suo habitat, tanto da diventarne uno dei
protagonisti dell’inverno. È una festa colorata, un folletto che salta da un
pendio all’altro, uno strillo giallo tra le fasce dove la natura ancora dorme.
Una voglia di primavera che apre il cuore di speranza nel pieno dell’inverno.
Originaria della
Tasmania, la Mimosa (o Acacia dealbata) è arrivata in Liguria nel XIX secolo ed
è oggi uno dei fattori più importanti del mercato floricolo: a lei sono
dedicati più di 200 ettari tra coltivazioni e raccolta e la produzione ligure
supera il 90 % di quella del resto dell'Italia.
Dal 1946, la mimosa
è il fiore simbolo dell’8 marzo, la Festa della donna. La scelta fu fatta nel
1946, da un'idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei che proposero
di usare la mimosa, poco costosa e accessibile a tutti, al posto delle
violette, ancora oggi regalate in molti altri paesi in occasione della
ricorrenza, ma troppo costose per una festa considerata tradizionalmente
proletaria.
In Liguria agli
inizi di febbraio, già a fine gennaio nei casi più particolari, non è difficile
trovare un albero di mimosa che accenda la vostra giornata. Pieve Ligure, in
provincia di Genova, la festeggia con una sagra popolare; a Ponente, in
provincia di Imperia, invece, la mimosa è diventata parte del tessuto economico
e culturale della zona.
Graziani Guglielmi
abita a Vallebona, un piccolo comune nell’immediato entroterra di Bordighera.
Coltiva la mimosa da trent’anni. Ogni anno aspetta la fine di gennaio per
tuffarsi nel giallo. Il suo Ape si avventura sulle alture del borgo, tra serre,
uliveti e chiesette rupestri, il motore sbuffa mentre supera pendenze
proibitive che in un attimo portano in cielo. Del resto siamo vicino a
Perinaldo, patria dell’astronomo Cassini, e con il cielo da queste parti hanno
un rapporto particolare.
“Quella della mimosa
è una bellezza delicata, effimera - dice
Graziano - la pianta vive si e no trent’anni, poi si spegne e bisogna sostituirla.
Piante di trentadue, trentacinque anni possono considerarsi anziane e a breve
moriranno. Negli ultimi anni, forse per il cambiamento del clima o per la
coltura intensiva, le mie hanno cominciato ad avere problemi. Qui furono
piantate sessanta piante, ora ce ne sono più soltanto trenta...”.
Dura poco la pianta
della mimosa, come il suo fiore. Tanto flou, tanto è effimero e delicato il
fiore, tanto fragile è la pianta. Del resto è una qualità della bellezza,
quella di non durare al lungo. Però nel ponente ligure la mimosa si è adattata
molto bene, ha trovato quello che cercava: inverni miti ed estati secche,
proprio quello che ci vuole per favorirne la fioritura.
“È una pianta
delicata, ma di poche pretese, coltivarla non è poi difficile. Desidera terreni
freschi, ben drenati, acidofili. Concime organico quanto basta. Attenzione ai
venti: ha un apparato radicale piuttosto povero. Le ultime tempeste nella
nostra zona hanno rovesciato parecchi alberi; nelle notti ventose io e mia
madre non stiamo mai tranquilli, abbiamo sempre paura che le raffiche si
portino via qualche pianta… e vorrei andare su, per aiutarle... ma poi al
mattino le trovo lì, hanno resistito.
Per fiorire, però,
la mimosa deve patire la sete: è anche per questo che cresce bene nel ponente
ligure, perché qui d’estate piove molto poco. Non effettuo potatura: la
potatura è la raccolta stessa.”
Come accade per le
olive, la raccolta della mimosa ha qualcosa di ascetico. Graziano resta per ore
da solo tra le sue piante. Sotto di lui, laggiù, la vita scorre tranquilla nei
carruggi di Vallebona. Va a lavorare in una bella mattina di gennaio, anche se
fa freddo, ma di quelle con il cielo completamente dipinto di blu.
“Coltivare la mimosa
per me è stato naturale. I miei non facevano questo lavoro, ma avevano alcuni
appezzamenti e piano piano mi ci sono dedicato”. Graziano Guglielmi
Quante varietà di
mimosa esistono? Come si coltiva?
“Questa è la Galuà,
(in dialetto, in realtà si dice “Gaulois”), la più conosciuta, poi c’è la
“Chiaro di luna”, la “Luna d’argento”, la “Denis bodei” e la Turnè (Tournaire),
molto simile alla Gaulois, ma che matura un mese prima e poi un’altra, molto
richiesta che si raccoglie acerba, a settembre. Per chi non è un produttore non
è facile distinguerle, ci sono piccole variazioni nella foglia o il fiore.
Replicare una mimosa da seme non è facile, si preferisce innestare la varietà
che si vuole su un selvatico più resistente. Ci sono persone in paese che sanno
farlo bene, noi ci rivolgiamo a loro".
Graziano mi confessa anche qualcosa che aggiunge bellezza alla mimosa:
“Per fortuna la
mimosa non ha parassiti. Io in questi anni non ho mai fatto trattamenti con
anticrittogamici o antiparassitari né con concimi chimici”. Così si può star
tranquilli che il nostro regalo per la Giornata della donna non conterrà alcun
tipo di veleno.
Per farla durare più
a lungo basta qualche semplice accorgimento: rimuoverla dall’involucro di
plastica in cui viene regalata, metterla a bagno in acqua pulita, meglio se
inacidita con l’aggiunta di un paio di gocce di limone. Posizionarla in piena
luce e in ambiente umido e vaporizzare acqua fresca sui fiori: la mimosa
rilascia molta acqua durante la traspirazione quindi la grande perdita di
liquidi potrebbe farla seccare prima”.
Vallebona
“In paese c'è ancora
chi sa innestare la mimosa. Sono piccoli coltivatori. Noi cerchiamo loro quando
abbiamo bisogno di piante nuove”
Arriviamo sulla
dorsale. A Ponente si vede Perinaldo, con le alpi innevate alle spalle. Più in
là altri monti, ma è già Francia.
Tornando giù,
Graziano allunga un po’ la strada. Mi vuole mostrare un luogo che, dice, con la
mimosa fiorita è bellissimo. Sono stradine che s’avventurano tra pinete, orti,
villette e macchia mediterranea, zone con nomi che sanno d’antico, “Suseneo”,
“Mergai”, “Massabò”; ogni tanto, da una
curva, spunta il mare di Bordighera.
“Ecco, questo luogo
si chiama “paixe d’öji”, la pace degli occhi” - mi dice.
E, infatti,
l’orizzonte si abbassa, spunta il mare, qualche sparuto cipresso indica come un
dito il cielo. È un buon posto dove venire a riposarsi dopo una giornata di
lavoro.
https://www.lamialiguria.it/it/component/content/article/452-lamialigurianews/12219-mimosa-inverno-liguria.html?Itemid=437&fbclid=IwAR1WP2wbtJlVBoyVAm5bIJZeAn8gLEyhVEI7kTmgL9LUk1m6nRrM-Uuq5Fw
lunedì 7 febbraio 2022
Preghiera del buonumore
Ieri sera su Rai3 il Papa ha consigliato di leggere la
Preghiera del buonumore di San Tommaso Moro.
Santa Giuseppina Bakhita
Santa Giuseppina Bakhita Vergine
Oglassa, Darfur,
Sudan, 1868 - Schio, Vicenza, 8 febbraio 1947
Nasce nel Sudan nel
1869, rapita all'età di sette anni, venduta più volte, conosce sofferenze
fisiche e morali, che la lasciano senza un'identità. Sono i suoi rapitori a
darle il nome di Bakhita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata a Kartum dal
console Italiano Calisto Legnani. Nel 1885 segue quest'ultimo in Italia dove, a
Genova, viene affidata alla famiglia di Augusto Michieli e diventa la bambinaia
della figlia. Quando la famiglia Michieli si sposta sul Mar Rosso, Bakhita
resta con la loro bambina presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha la
possibilità di conoscere la fede cristiana e, il 9 gennaio 1890, chiede il
battesimo prendendo il nome di Giuseppina. Nel 1893, dopo un intenso cammino,
decide di farsi suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove
del suo amore. Divenuta suora, nel 1896 è trasferita a Schio (Vicenza) dove
muore l'8 febbraio del 1947. Per cinquant'anni ha ricoperto compiti umili e
semplici offerti con generosità e semplicità.
Esiste un manoscritto, redatto in italiano e custodito nell’archivio storico della Curia generalizia delle suore Canossiane di Roma, che raccoglie l’autobiografia di santa Bakhita, canonizzata in piazza San Pietro il 1° 2000 fra danze e ritmati canti africani. In questo manoscritto sono racchiuse le brutture a cui fu sottoposta Bakhita nei suoi tragici anni di schiavitù, la sua riacquistata libertà e infine la conversione al cattolicesimo.
“La mia famiglia
abitava proprio nel centro dell’Africa, in un subborgo del Darfur, detto
Olgrossa, vicino al monte Agilerei... Vivevo pienamente felice…
Avevo nove anni
circa, quando un mattino…andai… a passeggio nei nostri campi… Ad un tratto
[sbucano] da una siepe due brutti stranieri armati… Uno… estrae un grosso
coltello dalla cintura, me lo punta sul fianco e con una voce imperiosa, “Se
gridi, sei morta, avanti seguici!””.
Venduta a mercanti
di schiavi, iniziò per Bakhita un’esistenza di privazioni, di frustate e di
passaggi di padrone in padrone. Poi venne tatuata con rito crudele e tribale:
114 tagli di coltello lungo il corpo: “Mi pareva di morire ad ogni momento…
Immersa in un lago di sangue, fui portata sul giaciglio, ove per più ore non
seppi nulla di me… Per più di un mese [distesa] sulla stuoia… senza una pezzuola
con cui asciugare l’acqua che continuamente usciva dalle piaghe semiaperte per
il sale”.
Giunse finalmente la
quinta ed ultima compra-vendita della giovane schiava sudanese. La acquistò un
agente consolare italiano, Callisto Legnami.
Dieci anni di orrori e umiliazioni si chiudevano. E, per la prima volta,
Bakhita indossa un vestito.
“Fui davvero
fortunata; perché il nuovo padrone era assai buono e prese a volermi bene
tanto”. Trascorrono più di due anni. L’incalzante rivoluzione mahdista fa
decidere il funzionario italiano di lasciare Khartoum e tornare in patria.
Allora “osai pregarlo di condurmi in Italia con sé”. Bakhita raggiunge la
sconosciuta Italia, dove il console la regalerà ad una coppia di amici di
Mirano Veneto e per tre anni diventerà la bambinaia di loro figlia, Alice.
Ed ecco l’incontro
con Cristo. La mamma di Alice, Maria Turina Michieli, decide di mandare figlia
e bambinaia in collegio dovendo raggiungere l’Africa per un certo periodo di
tempo. La giovane viene ospitata nel Catecumenato diretto dalle Suore
Canossiane di Venezia (1888). “Circa nove mesi dopo, la signora Turina venne a
reclamare i suoi diritti su di me. Io mi rifiutai di seguirla in Africa… Ella
montò sulle furie”. Nella questione intervennero il patriarca di Venezia Domenico
Agostini e il procuratore del re, il quale
“mandò a dire che, essendo io in Italia, dove non si fa mercato di
schiavi, restavo… libera”.
Il 9 gennaio 1890
riceve dal Patriarca di Venezia il battesimo, la cresima e la comunione e le
viene imposto il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata, che in arabo si
traduce Bakhita.
Nel 1893 entra nel
noviziato delle Canossiane. “Pronunciate i santi voti senza timori. Gesù vi
vuole, Gesù vi ama. Voi amatelo e servitelo sempre così”, le dirà il cardinal
Giuseppe Sarto, nuovo Patriarca e futuro Pio X. Nel 1896 pronuncia i voti e si
avvia ad un cammino di santità. Cuoca, sacrestana e portinaia saranno le sue
umili mansioni, descritte e testimoniate dal recente e ben riuscito video
prodotto dalla Nova-T, dal titolo “Le due valigie, S. Giuseppina Bakhita”, con
la regia di Paolo Damosso, la fotografia di Antonio Moirabito e la recitazione
di Franco Giacobini e Angela Goodwin. Il
titolo si rifà alle parole che Bakhita disse prima di morire: “Me ne vado,
adagio adagio, verso l’eternità… Me ne vado con due valigie: una, contiene i
miei peccati, l’altra, ben più pesante, i meriti infiniti di Gesù Cristo”.
Donna di preghiera e
di misericordia, conquistò la gente di Schio, dove rimase per ben 45 anni. La
suora di “cioccolato”, che i bambini
provavano a mangiare, catturava per la sua bontà, la sua gioia, la sua fede.
Già in vita la chiamano santa e alla sua morte (8 febbraio 1947), sopraggiunta a causa di una polmonite, Schio
si vestì a lutto.
Aveva detto: “Se
incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno
torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse
accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa…”.
La Chiesa la ricorda
l'8 febbraio mentre nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 9
febbraio.
Autore: Cristina Siccardi
domenica 6 febbraio 2022
I bambini che perdono la vita
sabato 5 febbraio 2022
Custodire ogni vita 6 febbraio 2022
Le ripercussioni della pandemia sulla custodia della vita nascente e terminale, sulle fragilità, sul sistema sanitario e sulle responsabilità individuali. È incentrato su questi temi il Messaggio che il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha preparato per la 44.ma Giornata Nazionale per la Vita che si celebrerà il 6 febbraio 2022 col titolo «Custodire ogni vita. “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15)».
mercoledì 2 febbraio 2022
San Biagio (San Bias)
San Biagio (San Bias)
martedì 1 febbraio 2022
Arte: lo sguardo oltre il visibile.
Caspar D. Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo - Public Domain via Wikipedia Commons