C’era una volta una spedizione sulle montagne dell’Himalaya. Dopo giorni di cammino, gli sherpa si fermano e non vogliono procedere. Restano fermi per un giorno intero. Il giorno dopo, senza una ragione apparente, ripartono con i loro carichi sulle spalle e riprendono il cammino. Ai nostri alpinisti, che pensavano si fossero fermati perché sfiniti per la stanchezza, rispondono: “No, non era stanchezza. Era che dovevamo aspettare le nostre anime. Abbiamo corso così tanto che esse erano rimaste indietro e rischiavano di perdersi”
Perché le nostre azioni siano connotate come umane, è necessario che l’uomo non cammini senza la sua anima! Bisogna concedersi il tempo di “aspettarla”. Bisogna entrare in contatto con le esperienze che si fanno e avere il tempo della “digestione psichica”. Invece, nella vita “dell’adesso” condotta dagli avidi consumatori di nuove Erlebnisse (esperienze vissute), la ragione di affrettarsi non è la spinta ad acquisire e conservare, ma a scartare e sostituire. Sospinti da una sorta di bulimia esistenziale, inseguiamo affannandoci ogni possibile esperienza senza sostare in essa. Senza farla diventare un’esperienza umana. Spinti solo a consumare di nuovo, inesorabilmente. Ma spinti anche a consumare noi stessi.
(Antonio Di Lorenzo)
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