"io sono qui per continuare ad imparare"

Una frase, un ringraziamento, un pensiero, una poesia, una nota citazione, una preghiera, una testimonianza che trattano i temi fondamentali della vita (che chiamerò "riflessioni") possono, qualche volta, tracciare un solco positivo nel cuore e in alcuni casi diventare motivo di stimolo, speranza, conforto, sostegno. Se alle mie "riflessioni" aggiungerete le vostre, condivideremo anche con altri qualche prezioso suggerimento, come meditazione sulla realtà del vivere quotidiano.


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martedì 26 aprile 2022

Arte: Dietro il sorriso della Gioconda

 

Dietro il sorriso della Gioconda

Bobbio è un’amena località della Val Trebbia, nel Piacentino, molto amata dai milanesi. Che la visitano per la pancetta, il profumo della natura, il Ponte Vecchio o il Borgo Medioevale, l’Abbazia di San Colombano o un semplice bagno nelle pozze selvagge, appena scoppia il caldo. Da ieri però i milanesi, e non solo, guarderanno Bobbio con un altro occhio, ancor più ammirato. perché la recente conferma della presenza di Leonardo in zona, scoperta da un gruppo di scienziati, rafforza ormai fino alla quasi certezza la teoria dello sfondo bobbiese della Gioconda. Lo sottolinea la ricercatrice Carla Glori, che localizza il paesaggio alle spalle di Monna Lisa proprio in quello di Bobbio, visto dal castello Malaspina Dal Verme. «Gli studi condotti sugli icnofossili (tracce fossili di impronte di antichi esseri viventi) provano che le stesse forme sono state riprodotte da Leonardo nel Codice Leicester». Spiegare il resto è un po’ complicato, ma chi credeva fino a ieri che dietro il sorriso più famoso del mondo si nascondessero le terre aretine o i paesaggi di Trezzo, tanto amati dal maestro, ora deve ricredersi. Evviva il Trebbia, le sue acque e la sua Storia segreta.

Enrico Fovanna

ilgiorno.it

 

Gioconda

Leonardo da Vinci ci ha lasciato numerosi capolavori che ancora oggi studiamo e ammiriamo. Un capolavoro assoluto è, senz’altro, il dipinto ad olio della Gioconda (16 ° secolo), nota anche come “La Monna Lisa”, considerato dal mondo dell’arte per essere una delle sue opere più famose.

La storia della Gioconda ha da tempo raccolto molta attenzione, suscitando polemiche sull’identità della donna che posava per la pittura.

Si dice che il dipinto fu commissionato dal ricco mercante di seta Francesco del Giocondo e sua moglie Lisa.

La coppia lo voleva per la loro nuova casa, e per celebrare la nascita del loro secondo figlio.

Molti credono che la donna del dipinto è infatti Lisa Gherardini. Tuttavia, il dibattito continua ancora oggi.

Da Vinci iniziò l’opera nel 1503 e vi lavorò per quattro anni; poi, la mise da parte.

Si trasferì a Parigi nel 1516, su invito del re di Francia, e riprese il suo lavoro sulla Gioconda.

Ci sono voluti altri tre anni per completarlo. Ci sono voluti altri 300 anni prima che qualcuno, al di fuori di Italia, lo considerasse, annoverandolo tra i capolavori del Rinascimento.

Leonardo usava tecniche ed elementi nuovi per l’epoca. La pelle della Gioconda sembra brillare, grazie agli strati di oli trasparenti.

Da Vinci era uno scienziato e, perciò, applicò le conoscenze di anatomia per dare realismo alla Gioconda.

Utilizzò ciò che aveva imparato dallo studio sui colori cangianti del paesaggio.

Anche il sorriso enigmatico della Gioconda e lo sfondo del paesaggio hanno ispirato tantissime pagine di letteratura, di critica, di studio e suggestioni.

Sfuggente, ironica e sensuale allo stesso tempo, la Monna Lisa è stata di volta in volta adorata, contemplata, ma anche oggetto di satira o caricatura.

Quando morì, da Vinci, lasciò la Gioconda al suo amico e mecenate, re Francesco I.

Il re conservò il dipinto nel suo alloggio privato al Palazzo di Fontainebleau; alla sua morte, la sua stanza fu trasformata in una galleria d’arte.

Luigi XV si portò il dipinto alla Reggia di Versailles, e per un po’, il dipinto fu appeso nella camera da letto di Napoleone, nel palazzo delle Tuileries.

Tuttavia, la Monna Lisa trovò una sede permanente solo nel 1793, quando il Louvre di Parigi aprì la collezione d’arte reale mettendola a disposizione del pubblico.

Durante la seconda guerra mondiale, c’era la preoccupazione che la Gioconda potesse essere danneggiata dalle bombe o rubata dai nazisti.

Così, il dipinto fu portato via in ambulanza nel 1939, trascorrendo la guerra in clandestinità.

Il furto

La Gioconda fu oggetto di una rapina che ha causò molto clamore.

Il 21 agosto 1911, mentre il dipinto era esposto al Salon Carré del Louvre, un artista, notando lo spazio vuoto, scoprì che la Gioconda era stata rubata. Il museo fu chiuso per una settimana per perseguire le indagini.

Il poeta francese Guillaume Apollinaire venne arrestato e imprigionato col sospetto che fosse in qualche modo implicato nel il furto.

Lui, a sua volta, accusò il suo amico Pablo Picasso. Alla fine, entrambi gli uomini furono prosciolti da ogni accusa.

Fu ritrovata solo nel 1912. Si scoprì che il dipendente del Louvre Vincenzo Peruggia aveva rubato il dipinto, nascondendolo sotto la giacca dopo la chiusura.

Una ipotesi sul motivo del furto è che Peruggia era convinto che l’opera appartenesse all’Italia, essendo stata dipinta dall’italiano Leonardo da Vinci.

Un’altra ipotesi è che un suo amico aveva venduto copie della Gioconda, e che il valore delle copie sarebbe aumentato se l’originale fosse sparito.

Vincenzo Peruggia fu catturato mentre cercava di vendere il quadro.

La Gioconda fu restituita al Louvre nel 1913, dove si trova ancora oggi, continuando ad incuriosire i suoi ammiratori.

https://tuttoin1.it/la-storia-della-gioconda-di-leonardo/

giovedì 21 aprile 2022

Earth day 2022, un appello a investire nel pianeta

 

Earth day, un appello a investire nel pianeta
Il 22 aprile tutto il mondo celebra la Giornata della Terra, l’Earth Day, che da 52 anni mobilita milioni di persone di ogni continente per la tutela della nostra casa comune. “Investire nel nostro pianeta” è il tema del 2022. Tra le finalità c’è quella di indicare soluzioni per combattere il cambiamento climatico e incentivare tutti, governi, cittadini e imprese, a fare la propria parte. La Giornata della Terra nasce negli Stati Uniti. Nel 1970 si svolge la prima edizione, con la mobilitazione di oltre 20 milioni di persone per chiedere maggiore protezione per il pianeta.
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

sabato 16 aprile 2022

E allora sarà una gioiosa Pasqua.

 

La nostra stessa vita non è mai stata così in attesa della Risurrezione!
Crediamo che esiste ancora un futuro di speranza e pace...
E allora sarà una gioiosa Pasqua.

venerdì 15 aprile 2022

Arte: Cristo in croce solennità della sofferenza














L’essenzialità con cui l’artista è riuscito a trasmettere la solennità della sofferenza di Cristo in croce, senza la necessità di aggiungere alla composizione ulteriori elementi che richiamino la Passione o elaborati paesaggi di sfondo: questo è ciò che colpisce l’osservatore di fronte al Cristo crocifisso di Diego Velázquez (Siviglia, 1599 - Madrid, 1660). Un dipinto costruito unicamente con la sola presenza del soggetto principale, illuminato da una luce quasi lunare, che crea l’effetto di una scultura: pare infatti che il corpo di Cristo prenda volume e vada oltre i confini della tela. 

Dalle dimensioni monumentali, la croce tocca la cornice del quadro e su di essa si staglia la figura di Cristo sorretta da quattro chiodi, uno per ogni arto; sullo sfondo non un paesaggio, bensì un paramento verde scuro che dà a tutta la composizione una straordinaria profondità. Una scena estremamente intensa ma allo stesso tempo sobria: i segni della Passione sul corpo ormai privo di vita sono quasi del tutto assenti. Sottili rivoli di sangue scendono dalle ferite nelle mani e nei piedi, macchiando di rosso vivo il legno della croce, allo stesso tempo colpa dell’umanità ed evento salvifico per l’umanità intera. Sangue scende anche lungo il fianco destro dalla ferita sul costato e quasi impercettibili sono le gocce dal capo, cinto dalla corona di spine. Il corpo nudo e lucente, coperto solo da un panno immacolato annodato sui fianchi, e ben proporzionato nelle sue fattezze, presenta solo lievemente i segni del sacrificio; la composizione non risulta macabra nella sua totalità, ma l’elemento che spicca è proprio la luce che emana il corpo, che crea un’atmosfera di religioso silenzio e di meditazione. Un caldo alone circonda la testa reclinata in avanti di Gesù e il volto appare in ombra, quasi completamente coperto dai capelli bruni, ma i tratti sembrano sereni e distesi. Tutto è in linea con un’iconografia che, pur esprimendo la tragicità dell’evento, non intende renderla esplicita in maniera drammatica, ma è una sofferenza che colpisce la parte più intima dell’osservatore, probabilmente proprio per la solennità e la sobrietà con cui l’artista ha scelto di rappresentare la scena.L’opera è conservata al Museo del Prado, come la maggior parte delle principali dell’artista : nella sede museale madrilena sono infatti custoditi quasi cinquanta dei circa centoventi quadri a lui attribuiti, e tra questi si contano i più significativi, come Las Meninas. Per questa ragione si può considerare il pittore simbolo della prestigiosa istituzione. Il dipinto appartiene agli anni della maturità di Velázquez: risale infatti al 1631-1632, poco dopo il suo rientro dall’Italia e periodo in cui le collezioni reali iniziarono a testimoniare in modo sempre più prolifico lo splendore e la potenza della corte spagnola. Sono gli anni in cui il pittore, la cui carriera fu segnata dalla sua lunga permanenza presso la corte, realizzò molti ritratti della famiglia reale e soprattutto di re Filippo IV, del fratello Ferdinando e del piccolo Baltasar Carlos, nonché vari ritratti del conte-duca di Olivares, colui che probabilmente influenzò il suo ingresso a corte. Il Cristo crocifisso, destinato al convento delle Benedettine di San Placido a Madrid, gli fu probabilmente commissionato da Jerónimo de Villanueva, protonotario del Regno d’Aragona e segretario del conte-duca di Olivares; Villanueva era una personalità rilevante della corte e dunque potrebbe aver incaricato lui in persona una così importante opera al pittore del re. Sappiamo inoltre che Villanueva aveva contatti diretti con Velázquez, in quanto responsabile di alcuni pagamenti da parte del re tra il 1634 e il 1635.

Il fatto di essere molto legato alla corte e alla nobiltà fu forse il motivo per cui nella sua produzione artistica si contano pochi dipinti a soggetto religioso. Alcuni critici legano la sua sobrietà nel raffigurare scene sacre a un suo personale atteggiamento distaccato nei confronti di queste ultime, poiché solito trattare temi di corte; altri affermano invece che Velázquez sia il pittore spagnolo che è riuscito meglio a rappresentare l’intensità del sentimento religioso, proprio tenendo conto di tale sobrietà. Tuttavia si sa che seguì gli insegnamenti del suo maestro Francisco Pacheco (Sanlúcar de Barrameda, 1564 – Siviglia, 1644), pittore e trattatista, che divenne successivamente anche suo suocero (sposò infatti Juana Pacheco), sotto cui si formò a Siviglia. In particolare venne influenzato da quest’ultimo nella raffigurazione di Cristo come il più bello tra gli uomini, come viene definito nel Salmo 44, e nella presenza di quattro chiodi che sostengono il corpo alla croce, invece di tre, come molti artisti rappresentavano (uno su entrambe le mani e uno solo per i piedi, poiché questi ultimi venivano raffigurati uno sull’altro). E sulla quantità di chiodi Pacheco trattò alla fine del suo Arte de la Pintura del 1649. La scritta in tre lingue che si legge sul legno sopra la testa di Cristo rispecchia il testo latino del Vangelo di san Giovanni “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum”, ovvero l’iscrizione che Ponzio Pilato fece apporre sulla croce di Gesù per indicare il motivo della condanna.
Miguel de Unamuno (Bilbao, 1864 – Salamanca, 1936), poeta attivo a cavallo tra Ottocento e Novecento, dedicò un poema all’opera del pittore spagnolo secentesco: El Cristo de Velázquez. Composto nel 1920 in versi sciolti, è suddiviso in quattro parti e crea un perfetto dialogo tra arte e parola, tra l’opera pittorica e l’opera poetica. Unamuno fa costanti riferimenti a particolari dettagli del dipinto, come la nera capigliatura del nazareno, il suo corpo bianco, esanime, lo sfondo scuro che contrasta con il corpo bianco di Cristo, i quattro chiodi invece di tre. “Por qué ese velo de cerrada noche / de tu abundosa cabellera negra / de nazareno cae sobre tu frente?”: così si apre l’opera poetica, per poi procedere con diversi paragoni con il corpo bianco (“Blanco tu cuerpo está como el espejo del padre de la luz”; “blanco tu cuerpo al modo de la luna”; “blanco tu cuerpo está como la hostia del cielo”) in contrasto con la notte. “El Hombre muerto que no muere / blanco cual luna de la noche” viene definito dal poeta il Cristo crocifisso, in una costante similitudine con la luna bianca della notte: “Blanca luna / como el cuerpo del Hombre en cruz”; pare infatti una luce lunare quella che emana il suo corpo, una luce tenue che porta alla meditazione e a rimanere in silenzio nell’osservare tanta bellezza. È una scena che rappresenta una morte che in realtà dà vita e speranza, grazie al sacrificio di Gesù: “Por Ti nos vivifica esa tu muerte [...] vela el Hombre que dió toda su sangre / por que las gentes sepan que son hombres. / Tú salvaste a la muerte”. E allo stesso tempo guida: “cual luna, anuncia el alba a los que viven / perdidos”.
L’intensità della poesia rispecchia pienamente l’intensità del dipinto, anche se a distanza di quasi tre secoli l’una dall’altro: è un esempio straordinario di come la parola possa intrecciarsi e amalgamarsi all’immagine, restituendo ai posteri un’opera totale di grande suggestione. 
da finestre sull'arte

Bòna Pasqua di Carletto Oblò










BÒNA PASQUA

(di Carletto Oblò)
Bòna Pasqua, cara gent,
cont el coeur, in man gh’hoo nient,
voraria dav s'on piatt
on bèll oeuv de ciccolatt,
‘na colomba mandorlada
moresina e profumada;
ma son chì ‘me on presonee,
‘me on pollaster nel pollee.
Finirà poeu ‘sta bugada
de stà in cà… oueih che menada!
Hinn duu ann che sèmm saraa
presonee in di nòster cà.
“Tegnii dur e mollii nò!
Dai pazienza on poo ‘ncamò!”
Quèsta l’è la tiritera
che se sent mattina e sera.
Ma ‘sto virus malarbètt
brutt, schifos, ch’el nó desmètt
se pò nò trall in del fòss?
Ghe l’hoo chì… el me sta in sul gòss.
Sì el soo, son nò on poètta,
quèsta l'è la mia disdètta,
soo de vèss on versiroeu,
dai, pazienza mè car fioeu.
Dèss però, rivaa ‘l moment
che ve brasci-sù content
mi ve mandi tanti auguri
bèi, sincer, de coeur, v’el giuri!
Bòna Pasqua a tucc!!!

sabato 9 aprile 2022

Bellezza di una presenza umile.

 

«Quale bellezza salverà il mondo? », si è chiesto un giorno Dostoevskij.
La risposta la possiamo trovare contemplando la scena del Vangelo.
E’ la bellezza di una presenza umile, silenziosa e premurosa che sembra sprecata e inutile in un mondo cinico e violento, ma che è capace di irradiare fiducia e speranza perché in questi gesti nascosti già palpita la luce della risurrezione.

Vola bianca colomba: quest’anno volerai più piano.

 

Vola, vola bianca colomba, con un ramoscello d'ulivo "povero" segno di pace, e dona al mondo, che non ha sole e piange tacito per tanto dolore, un istante di consolazione. Magari quest’anno volerai più piano, ma arriverai.

domenica 3 aprile 2022

Le quattro Madonnine di Milano

 
Le quattro "Madonnine" di Milano

La statua della “Madonnina” posta a 108,50 metri d’altezza sulla guglia più alta del Duomo di Milano è considerata il primo simbolo della città. Opera dello scultore Giuseppe Perego e dell’orafo Giuseppe Bini, misura più di quattro metri e dal 1774 domina e protegge la città dal suo punto più alto. La sua protezione è reale, la sua alabarda è infatti un parafulmine mascherato.

Oggi ci sono quattro statue raffiguranti la Madonnina, di cui due vegliano i grattacieli regionali. La tradizione vuole che nessun edificio in città la superi in altezza. Tale limite è stato rispettato fino alla fine degli Anni ’50: la Torre Branca, realizzata nel 1933 su progetto di Giò Ponti, fu limitata in altezza a 108 metri da una legge ad hoc, e la Torre Velasca, inaugurata nel 1957, rispettò il limite fermandosi a 106 metri.

Il Grattacielo Pirelli, oggi sede del Consiglio Regionale, progettato da Giò Ponti, alto 127 metri, fu inaugurato nel 1960. Per rispettare la tradizione e consentire alla Madonnina di vegliare Milano dal punto più alto della città, venne collocata in cima al Pirellone una sua riproduzione alta 80 centimetri. La posa della “nuova Madonnina” venne tenuta segreta fino agli Anni ’90. Il Grattacielo Pirelli mantenne il record di edificio più alto di Milano fino al 2010, quando fu completato Palazzo Lombardia, oggi sede della Giunta Regionale, opera dello studio Pei Cobb Freed & Partners. In cima al nuovo grattacielo, alto 161,3 metri, fu posta una terza statua della Madonnina.

Una quarta statua della Madonnina oggi si trova in cima alla Torre Isozaki (o Torre Allianz) terminata nel 2015 all’interno del complesso City Life. Con i suoi 209,2 metri di altezza è attualmente l’edificio più alto d’Italia.

Regione Lombardia