Vale la pena di fermarci un attimo a leggere e meditare su questa storia:
"Anche Milan, anche lui mi ha tradito". Così pensavo io, mentre il treno lo allontanava da quella che da sempre era stata la sua terra. Intorno a lui stavano, mogi in silenzio, la moglie e i suoi tre figli, insieme ai pacchi che raccoglievano le poche cose che era riuscito a portare con sé. Ma Mito in quel momento non si curava di ciò che lo circondava. Fuori dal finestrino scorreva la campagna ed egli guardava i campi incolti, qualche casa annerita, gruppi di soldati infangati, ma con gli occhi della mente rivedeva continuamente la scena di poche ore prima: lui e la sua famiglia che insieme agli altri profughi arrivavano in stazione, accompagnati da una folla inferocita che li insultavano e che i soldati dell'UNHCR facevano fatica a trattenere.
Non erano quelle però le immagini che lo facevano soffrire, come non erano gli sputi che lo avevano colpito con disprezzo. Non era neppure il ricordo di quello schiaffo che aveva raggiunto sua moglie in piena faccia, senza che lui avesse potuto difenderla. Ciò che davvero non lo lasciava in pace era il volto di Milan, con la bocca contratta in una smorfia di rabbia, che in mezzo a quegli altri visi furiosi lo insultava; non lo lasciava in pace lo spintone che l'uomo gli aveva dato. "Milan, proprio lui"
Ricordava il piccolo ragazzo serbo tre anni prima, quando era arrivato nella sua cittadina senza un soldo in tasca, affamato come un animale spaesato.
Mito aveva avuto pietà di lui, gli aveva dato da mangiare, lo aveva ospitato in casa sua; aveva ascoltato le sue confidenze, quando si era innamorato di Ingrid. E quando, sei mesi prima, Milan si era sposato, aveva ricavato dal retro della sua bottega una casa piccola ma decorosa, per lui e per sua moglie.
Adesso Mito e la sua famiglia erano stati cacciati, perché, dopo anni di convivenza pacifica, gli abitanti dei paese si erano accorti che lui apparteneva ad un'altra etnia; ma che cos'era cambiato? Egli non era sempre lo stesso Mito, che vendeva a credito a tutti? E i suoi figli non erano gli stessi che, pochi mesi prima giocavano con gli altri bambini? Lo avevano cacciato senza un soldo, dopo anni di lavoro, e Milan avrebbe preso il suo posto nel negozio; sarebbe andato a vivere nella sua casa, avrebbe dormito nel suo letto. Da dove nasceva tutto quell'odio? Era covato senza che lui se ne accorgesi e nel corso degli anni o era esploso senta preavviso? Lui, Mito, era stato dunque un ingenuo?
Guardò i suoi figli, seduti in silenzio accanto agli scatoloni, pensò al futuro che avrebbero avuto e si senti inumidire gli occhi. Non voleva che se ne accorgessero e quindi prese il fazzoletto dalla tasca, ma la sua mano incontrò alcuni fogli di carta. Guardò bene e rimase esterrefatto nell'accorgersi che era un bel gruzzoletto di banconote, racchiuse da un biglietto. Sul foglio c'era scritto: "Scusami, Mito, oggi non ho il coraggio di difenderti pubblicamente. Tu sai bene che mi ucciderebbero. Perciò griderò contro di te insieme agli altri. Sappi però che io non dimentico quanto hai fatto per me. Tieni questi soldi. Sono pochi, rispetto a quanto ti devo, ma spero che possano servirti per iniziare una nuova attività nella terra dove arriverai. Questa bufera prima o tardi finirà, allora tomo da me e riprenditi quello che è tuo e che io, in questo tempo, custodirò in attesa dei tuo ritorno" *
Mito alzò lo sguardo dal foglio e non si curò più di nascondere le lacrime.
(Sergio Albesam)