Le Tre Grazie prima
e dopo il restauro
ARIANNA ANTONIUTTI |
22 settembre 2022 | Città del Vaticano
La Sala XVII della Pinacoteca Vaticana ospita eccezionalmente, e temporaneamente, dal 22 settembre, le Tre Grazie, gruppo scultoreo del II secolo d.C. Nell’ambito di «Museum at Work», iniziativa dei Musei Vaticani dedicata al restauro delle opere in collezione, sarà possibile ammirare le Tre Grazie, solitamente non visibili al grande pubblico perché esposte, dal 1932, nel Gabinetto delle Maschere del Museo Pio Clementino. In questo ambiente, non compreso nell’abituale percorso di visita, sono collocati capolavori della scultura classica come l’Afrodite accovacciata e i quattro riquadri musivi con maschere teatrali, provenienti da Villa Adriana, che danno il nome alla sala.
Il prototipo
tardoellenistico cui le Tre Grazie vaticane probabilmente rimandano era un’opera
di I secolo a.C., forse della cerchia di Stephanos, allievo di Pasiteles. Non
si conosce il luogo del ritrovamento dell’opera, che giunse in Vaticano nel
1815, sotto Pio VII. Sicuramente fu rinvenuta in condizioni frammentarie e, già
nella seconda metà del Cinquecento, venne sottoposta a restauro, con
l’integrazione delle tre teste antiche, non pertinenti, e gran parte della
braccia e delle gambe. Fra il 1820 e il 1822 fu nuovamente restaurata.
Il recente
intervento (coordinato dal Reparto di antichità greche e romane dei Musei
Vaticani ed eseguito dal Laboratorio materiali lapidei, in collaborazione con
il Gabinetto di ricerche scientifiche applicate ai beni culturali) ha
consentito la lettura delle varie fasi conservative della scultura. È stato difatti
possibile rilevare le linee di giunzione fra le parti originali dell’opera e le
integrazioni successive, che erano state minimizzate dall’intervento
cinquecentesco. Rimosse le resine alterate e virate cromaticamente, sono state
ripristinate le stuccature con malta di grassello di calce e inerti di polveri
di marmo. A restauro terminato si è deciso di non applicare il protettivo, per
mantenere la luminosità delle cere antiche.
Nel loro rinnovato
splendore, Aglaia, Eufrosine e Talia, figlie di Zeus e compagne di Afrodite,
intrecciano le braccia in un lieve e accennato passo di danza, in una posa che
grande fortuna ebbe in età romana, in ogni ambito artistico, non solo in
scultura. Tale motivo iconografico continuò nei secoli a ispirare gli artisti, dal
Rinascimento fino al Neoclassicismo. E difatti l’esposizione delle Tre Grazie
in Vaticano è anche un modo per celebrare il bicentenario della morte di
Antonio Canova (1757-1822) che, del gruppo scultoreo, diede due celebri
interpretazioni: una conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, l’altra al
Victoria & Albert Museum di Londra.
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