Dalle crisi si è alla fine sempre usciti (e sempre si uscirà). Guardiamo al passato per darsi la spinta verso l'alto!
-MAGGIO 1946: LA SCALA RIAPRE-
L’11 maggio 1946 i giornali di Milano pubblicano una lista di undici brani musicali: il programma di una serata di musica lirica.
La notizia si sta diffondendo da giorni per la città come una morbida e piacevole scossa elettrica: la Scala riapre.
Dopo cinque lugubri anni di guerra, fame, sofferenze, angoscia, morte; in un paese soffocato da un ventennio di dittatura, occupato/liberato da eserciti stranieri e devastato da bombardamenti che nell’agosto del ’43 hanno semi-distrutto anche lui, il teatro lirico forse più famoso del mondo.
I milanesi, però, neppure hanno aspettato la fine del conflitto e si sono subito rimboccati le maniche per ricostruirla, la loro Scala.
E ora…
Il Maestro Arturo Toscanini tornerà dal volontario esilio americano per dirigere. La “voce d’angelo” Renata Tebaldi canterà. Amplificatori saranno dislocati nei dintorni per regalare l’ascolto anche a chi non può permettersi di sborsare non dico le 1000 lire di una poltrona ma neppure le 150 dell’accesso alla seconda Galleria. E io, come sia successo, non so dirlo con certezza: che tutti lo fossero venuti a sapere. Se siano stati i giornali (che ancora molti erano incapaci di leggere) o la radio (che non tutti possedevano) o il passaparola (che tutti invece alimentavano).
Fatto sta che quella sera dell’11 maggio 1946 la gente confluì tacitamente concorde verso il centro, una specie di flashmob ante-litteram iniziato che ancora c’era luce, in grande anticipo: uomini, donne, anziani, bambini.
La gente. Non l’uso generico e riduttivo che si fa oggi di questa parola: la ggente… la TUA GENTE. Perché gente, gens, ce lo siamo dimenticati, vuol dire questo. Le persone che sanno di avere una origine comune. E quelli che erano lì quella sera, devono averlo sentito, che erano una gens, una gente.
Perché il programma era tutto italiano, d’accordo: Rossini, Verdi, Puccini, Boito. Ma soprattutto perché quella sera si stava rispondendo alla guerra, alla sofferenza, alla morte, alle bombe che avevano distrutto la loro Scala: e ora…Sapete cosa? Voi ce l’avete buttata giù. E noi l’abbiamo ricostruita.
Così, rimasero lì quasi 3 ore, in piedi, o seduti sui bordi dei marciapiedi, a ascoltare. Fino a che il coro intonò il finale del “Salve Regina” del Mefistofele di Arrigo Boito in un tripudio di violini, tamburi, trombe, piatti. E io sono sicuro che un brivido deve essere andato su per tutte quelle schiene. Quell’invocazione alla Madonna, quel crescendo – dirà una testimone - quell’Ave, ave, ave era divenuto per tutti noi un inno nazionale."
Da Vita e Pensiero di Paolo Colombo.
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