L’incidente del 1925 è uno spartiacque nella sua vita, quando su un autobus di ritorno da scuola, in seguito ad un incidente, viene trafitta da un corrimano, la colonna vertebrale si spezza in tre punti, si frantuma il collo del femore, le costole, la gamba sinistra in 11 punti, il piede destro è slogato e schiacciato, la spalla sinistra è lussata e l’osso pelvico spezzato in tre. 32 operazioni chirurgiche saranno necessarie per riparare parzialmente a questi danni. Dimessa dall’ospedale e costretta ad anni di riposo a casa, col busto ingessato, si dedica all’arte dipingendo principalmente autoritratti e allo studio del comunismo.
Proprio l’incontro con Diego Rivera, segretario del Partito Comunista messicano, la introduce alla vita attiva del suo paese e diventa una militante. E nel 1929 sposa Diego, più vecchio di lei di anni. Questa unione viene definita dalla strana combinazione dei due: “l’unione di una colomba con un elefante”. Frida però è stregata da Diego e del primo incontro dirà con una sensibilità che solo le donne possono capire: “Diego è nel mio cuore, nel mio sogno, nella mia follia. Dire “è in tutto” è stupido e magnifico”.
Questo rapporto intenso e discontinuo, totalizzante e estenuante, segna la vita di Frida, che divorzia da Diego per il tradimento di lui con la sorella Cristina Khalo; a distanza di un anno si risposano, Frida comincia ad avere amanti di entrambi i sessi. Le pagine del suo diario spiegano bene quanto la figura di Diego fosse qualcosa di imprescindibile nella sue esistenza, benché consapevole dei suoi tradimenti:
Subisce almeno tre aborti spontanei, il suo dolore più grande che la accompagna tutta la vita e che ritrae ossessivamente nei suoi dipinti, questo figlio strappatole da dentro più volte, lacerazione incolmabile.
Pochi anni prima di morire di bronchite bronchiale, subisce l’amputazione della gamba sinistra, ma ancora una volta l’attaccamento alla vita è più forte, manifestato dall’ultimo dipinto terminato 8 giorni prima di morire, dal titolo “Viva la vida”, e dalla nota sul suo diario dopo l’amputazione: “Piedi, a che mi servono, se ho ali per volare?”
Il corpo martoriato, la rivoluzione contadina del popolo messicano, gli animali e paesaggi esotici sono al centro delle sue opere intrise di folclore messicano, con un erotismo di fondo che la accompagna sempre nei riferimenti fisici dei suoi soggetti. La sua pittura racconta di un intimo raccoglimento anche quando tratta tematiche sociali, perché tutto è filtrato dalla sua interpretazione personalissima della realtà. Rifiuta più volte l’etichetta surrealista, perché quello che dipinge non sono in sogni ma la realtà.
Frida è diventata un mito della cultura femminista dagli anni ’70 e del movimento lesbico per le sue svariate relazioni con donne di ogni tipo. Il suo amore-odio per la vita che le ha provocato tante sofferenze ma che le ha dato molto, così come lo stesso Diego, ha fatto sì che le sue opere risultassero estremamente comunicative e intense, rispecchiando il suo modo di vivere.
Oltre la pittura, un modo per alleviare il dolore, sarà la stesura del diario personale, consigliatale negli anni in cui per i vari interventi non riusciva a dipingere, che la accompagna negli anni più bui, quelli della separazione da Diego e della nevrosi, che esorcizzerà con degli scarabocchi compulsivi, unico modo di esternare la sofferenza.
La vita e la sofferenza, tramutate in opere d’arte colorate e dirette, arrivano dritte al cuore dell’osservatore, senza che ci sia neanche tanto bisogno di annotazioni esplicative a lato. Una vita così intensa, che svela e non ne ha timore, i suoi momenti più difficili, alcuni superati con la forza di un’artista consapevole del suo ruolo di comunicatrice anticonformista e di donna simbolo di una rivoluzione, alcuni che lasciano trasparire la profonda fragilità che tanta sofferenza si porta dietro.
Marina Bassano